giovedì 10 gennaio 2008

SAMIZDAT n°8 (ovvero La Sindrome di Stoccolma)

La carovana di mormoni stava attraversando il selvaggio West alla ricerca di un posto dove fermarsi e prosperare.


Il capo mormone era un mite uomo di mezza età, vedovo e con una fluente barba nera che gli toccava quasi le ginocchia. Tutti i mormoni erranti erano affascinati dalla barba del capo, ma ancora di più lo erano da sua figlia.


La figlia del capo mormone aveva diciott’anni, le tette come palloncini gonfi e una cascata di capelli neri lunghi fin oltre il culo. Tutti i mormoni erranti erano affascinati dai capelli della figlia del capo, ma ancora di più lo erano da ciò che nascondevano laggiù in basso. Ma la figlia del capo mormone era una ragazza di sani principi, timorosa del Signore e senza grilli per la testa. Non aveva un fidanzato, non possedeva bei vestiti, non diceva parolacce e non aveva mai visto un uccello se non in cielo. Tutto il suo tempo lo trascorreva a pregare, a cucinare per il padre e a masturbarsi in fondo al carro.


Un giorno, la carovana trovò un pezzo di terra fertile dove mettere radici. L’unico problema era che quel pezzo di terra fertile in realtà era un luogo sacro agli indiani, e agli indiani non era andata giù di averci radici mormoni sul loro luogo sacro. Così erano scesi in massa a cavallo dalle colline circostanti, armati di lance, fucili e frecce infuocate, attaccando gli inermi mormoni, bruciando le loro case, rubando i loro cavalli e violentando le loro donne. Tutte tranne una: la figlia del capo.


La figlia del capo –s’erano resi immediatamente conto - somigliava in modo impressionante a Cucamonga, figura leggendaria e assai venerata, antica protettrice delle sorgenti d’acqua, le cui gesta divine venivano tramandate oralmente di generazione in generazione da tempo immemorabile.


Così, gli indiani avevano rapito la ragazza portandola nella loro riserva e sistemandola nel teepee vicino a quello del capo tribù. Il capo tribù, un anziano e saggio uomo dalla pelle simile alla corteccia della sequoia, aveva dato immediatamente ordine di preparare la giovane donna bianca per il sacro rito propiziatorio attraverso il quale sperava d’ingraziarsela, così che le acque dei fiumi e dei torrenti tornassero limpide e pulite e popolate di pesci come un tempo. Il rito consisteva nell’offrire alla dea i più valorosi guerrieri della tribù, quattro come i principali corsi d’acqua della riserva, mentre il resto della tribù avrebbe ballato, cantato e pregato attorno ai fuochi accesi. Fu così che le squaws, dopo aver spogliato e lavato la donna bianca, le dipinsero sul volto i segni propiziatori, la cosparsero di unguenti e la fecero stendere su una stuoia all’interno del teepee, prima di far entrare uno dopo l’altro i quattro valorosi guerrieri, mastodontici esemplari di pellerossa orgogliosi e ignari di cosa fossero paura e imbarazzo. A notte fonda, quando canti, balli e preghiere erano terminati già da diverse ore, il capo indiano trovò i quattro guerrieri riversi sotto le sorelle stelle, i volti scavati, gli occhi vitrei, il respiro appena percettibile…Interrogati separatamente, i quattro avevano parlato allo stesso modo: Cucamonga possedeva un tunnel troppo profondo ed affamato, per riuscire a colmarlo tutto saziandolo a dovere.


Il giorno seguente il capo indiano fece ripetere il rito, stabilendo che i guerrieri avrebbero dovuto agire simultaneamente, perché evidentemente solo così l’offerta a Cucamonga sarebbe stata completa e accettata. L’esito, però, fu lo stesso della volta precedente. Apparentemente, niente sembrava in grado di appagare la giovane dea, e i fiumi continuavano ad essere pieni di piscio e poveri di pesci. Dopo aver consultato sassolini e viscere di serpente, il capo indiano ordinò a tutti gli uomini della tribù in grado di assicurare una soddisfacente erezione, di entrare nel teepee della donna e offrirsi ad ella senza risparmio. Al termine del rito, durato un giorno e una notte, le acque erano ancora contaminate di orina e i pesci venivano a galla morti, ricoperti di schiuma e sacchetti di plastica.


Quando il capo tribù si rese conto che i suoi uomini, un tempo temibili guerrieri e razziatori, ora facevano fatica a portare le mani alla bocca per dissetarsi, si convinse che la giovane donna bianca doveva essere una reincarnazione malvagia, di Cucamonga, e che il solo scopo della sua apparizione era arrecare sventura e prostrazione al popolo indiano.Era stato così convocato il Gran Consiglio, nel quale era prevalsa l’opinione che uccidere una divinità (per quanto malvagia) avrebbe potuto rivelarsi un atto ancor più funesto del lasciarla in vita. Si decise allora di riportarla là dov’era stata trovata, tra quella gente vestita tanto stranamente, di sicuro altre malvagie entità meta-umane già pronte magari a vendicarsi.


Una notte, la ragazza venne condotta bendata fino a un sentiero al termine del quale una strada l’avrebbe ricongiunta alla sua gente. Per tutto il tragitto non fece che gridare e lamentarsi e inveire, cosa questa che rafforzò la convinzione circa la sua natura maligna ed egoista. Slegata, sbendata, scaricata e abbandonata, la ragazza aveva infine ritrovato la via di casa, giungendo all’alba di un limpido mattino alla propria comunità mormone che, nel frattempo, era tornata a vivere all’interno dei carri. Ci fu una gran festa, per quell’insperato ritorno, durante la quale il capo mormone decise ch’era preferibile rimettersi in cammino e cercare un altro luogo, dove fermarsi e prosperare.


Trovatolo dopo settimane di polveroso peregrinaggio, la comunità mormone si era subito data a costruire una nuova sede stabile, ma il problema era che quella terra era un cimitero appartenente ad un’altra tribù indiana, e la tribù indiana non aveva piacere che una comunità mormone dimorasse sul suo cimitero. Fu così che la tribù indiana scese in massa all’attacco dalle colline circostanti, e in mezzo a quel sanguinoso trambusto nessuno riuscì mai a capire cosa cazzo avesse da sorridere tanto la giovane figlia del capo…


° ° °


"Cosa dovrebbe rappresentarmi, questa storia?"


"E' una storia d'amore, tesoro" le dico, "Non è di questo che
stavi parlando?
"


"Io stavo parlando di noi, brutto stronzo..."


"D'accordo, ora per piacere vorresti abbassare
quella pistola? Renditi conto che se premi quel grilletto
ti sentiranno in tutto il forum...
"


Mi accendo una sigaretta.
Mi guardo intorno
nell'ufficio deserto come una mente sgombra.
Una piccolo calibro puntata addosso,
tutta nera e lucente
come uno scarafaggio lucidato.


A volte le cose non vanno come te le aspettavi.
Altre volte invece, non vanno affatto.


Sono le 2.35 pm
di un venerdì pomeriggio.


Queste donne che parlano d’amore
sembrano così serie mentre
le ascolto
eppure
i loro argomenti finiscono sempre molto in fretta
quasi che fosse un problema di
memoria


come se dell’amore
mimassero solo le movenze
ricordando di averle viste
da qualche parte
un giorno
di sfuggita.


Non sanno nulla, dell’amore
e l’amore non sa
nulla di loro.


Mi piacerebbe tanto
poterli
presentare.

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