Beh, la storia in buona sostanza è tutta qui.
C’è un villaggio – un villaggio azteco – e questo villaggio azteco vive costantemente sotto la minaccia dei terremoti. Il guaio è che i suoi abitanti non sanno proprio cosa sia, un terremoto. Per questo, sono convinti che la terra tremi sotto i loro piedi e le loro abitazioni crollino perché il potente dio Askar è in collera con essi. E pensano che il motivo di tanta collera risieda nel loro comportamento, nel loro abituale stile di vita.
Forse – pensano – dipende dal fatto che vegetiamo nell’ozio più turpe, non produciamo nulla, ci stiamo portando lentamente e inconsapevolmente verso l’estinzione…Forse è perché non siamo guerrieri abbastanza valorosi, essi pensano.
Così, si danno a saccheggiare altri villaggi, massacrando i loro abitanti e violentando tutte le loro donne. Rubano, depredano, bruciano tutto ciò che incontrano lungo la loro bellicosa marcia, tagliano la testa ai nemici catturati e da quelle ricavano orinali e vasi da fiori, inquinano i corsi d’acqua che attraversano i territori conquistati, avvelenano la terra così che più nulla possa crescerci sopra…Nonostante tutto, i terremoti non cessano d’angustiarli.
Decidono allora di fare all’opposto. Diventano provetti agricoltori, coltivano le Arti, si mettono a studiare il moto dei pianeti, compilano calendari e addomesticano la natura selvaggia che li circonda, ma nemmeno quello serve a un cazzo, perché ecco nuovi terremoti, nuove e terribili scosse sismiche che provocano rovine e decine e decine di morti. Askar doveva essere incazzato di brutto, ma nessuno riusciva a capire il perché.
I saggi si riuniscono in consiglio per tre giorni e tre notti, senza un solo istante di pausa, neppure per andare a pisciare.
Forse – riflettono i saggi – Askar se ne frega, del suo popolo. Insomma, potrebbero anche non essere loro ad avere qualcosa che non va. Forse è il dio, a non essere del tutto a posto col cervello. Un dio malvagio non sarebbe certo una novità.
Per questo motivo decidono d’ingraziarselo, rivolgendo a lui tutte le loro azioni quotidiane, nella speranza che tanta venerazione possa placare la sua ira impedendo che altre scosse telluriche facciano peggiorare le emorroidi del capo villaggio.
Cominciano a rivolgere al dio assidue preghiere, gli offrono fiori di tutti i colori, costruiscono ciotole e tazze che lo raffigurano, in suo onore erigono un tempio addobbandolo d’ogni genere di ricchezza, intonano canti alla sua magnificenza, lo invocano cospargendosi la testa di cenere ancora fumante…Niente da fare. La terra continua a scuotersi come un setaccio e le emorroidi del capo villaggio somigliano sempre più alla coda di un cane.
Finché un giorno a qualcuno viene in mente un’idea. Magari è banale, ma dopotutto cos’hanno da perdere?
Forse – azzarda costui – Askar è troppo intelligente o troppo stupido, per apprezzare i nostri sforzi. O forse non è questo che il dio vuole. Forse il dio è più simile a noi di quel che crediamo. Forse Askar – conclude – non scopa abbastanza. Lassù magari non c’è una sola dea disposta a dargliela, o con tutta quell’immortalità s’è stufato di ripassarsi sempre le stesse. Oppure l’incorporeità, a lungo andare, gli ha fatto venire nostalgia della carne. Carne calda. E desiderabile.
Decidono così di sacrificare al dio una donna alla settimana, cominciando naturalmente dalle vecchie, le brutte e quelle affette da menomazioni fisiche. Inutile dire che i terremoti continuarono come prima e, anzi, anche più violenti. Askar sarà pure allupato, ma non è un coglione.
I sacrifici proseguono, ma stavolta con donne degne almeno di tal nome, prese a caso dal mazzo senza badare ad amori o parentele. Inspiegabilmente, le cose non cambiano. Il dio sembra non gradire.
Impossibile – pensano – Chiunque si scoperebbe quelle donne più che volentieri.Loro lo hanno fatto per anni. Askar invece, pur non dovendoci spendere un Euro, le rifiuta tutte quante una dopo l’altra, manifestando la propria insoddisfazione attraverso terrificanti sgrullate. A quel punto uno dei saggi avanza un’ipotesi coraggiosa: forse Askar è culo. Forse alla vacca preferisce il manzo. Tutto può essere.
Così prendono il giovane più virile e desiderato del villaggio e, tra le lacrime delle sue tante spasimanti, lo sacrificano al dio. Il giorno seguente ci fu la più clamorosa scossa che avessero mai dovuto sopportare. Se prima Askar era solo incazzato, adesso le palle dovevano girargli come pale d’elicottero.
Ma quando sembravano ormai spacciati, finalmente quei poveri disgraziati scoprono l’arcano. Askar non è per niente finocchio. Askar, al contrario, è un buongustaio. Vuole ciò che solo pochi uomini possono permettersi. Askar vuole carne ancora inviolata.
Iniziano così, una volta alla settimana, a sacrificargli tutte le vergini del villaggio, indipendentemente dall’età e dal ceto sociale. Già dopo la seconda settimana i terremoti cominciano a diminuire quanto ad entità e poi anche come frequenza, fino a cessare del tutto.
La gente tira un sospiro di sollievo, come si dice. E’ felice, può tornare a vivere dimenticandosi la paura provata per così tanti mesi. Sennonché, dopo il primo mese e mezzo le vergini sono belle che finite, e Askar rade al suolo l’intero villaggio fino a farlo sprofondare completamente nella terra.
° ° °
Mi accendo una sigaretta.
L'uomo, nel frattempo, ha smesso di frignare.
"E' una storia curiosa" ammette HB sorridendo,
alzando lo sguardo verso l'uomo, "Come ti è venuta?"
"Non lo so" rispondo, "Probabilmente dipende dalla birra.
Quando bevo grappa non mi succede mai".
"E tu hai capito?" domanda HB rivolgendosi all'uomo.
"E' una storia...che parla di sesso..." risponde quello a fatica.
"Sbagliato" dico io.
"Allora...parla di come sia difficile...accontentare il nostro prossimo..."
"Sbagliato" dice HB, arrotolandosi le maniche della camicia.
"Parla di una cosa ben più importante" dico, "Parla di quanto sia difficile
sentirsi liberi. Perché la libertà è soprattutto uno stato della mente".
Mi siedo al tavolo, qui in magazzino,
due piani sotto il livello stradale.
Una realtà umida e fredda, che odora di tabacco bagnato.
HB sta pulendo il coltello con un fazzoletto di stoffa.
L'uomo attaccato al gancio che penzola dal soffitto ci guarda
con occhi sbarrati, ricominciando a frignare.
E là fuori, da qualche parte, c'è una notte splendida,
intagliata in una tavola d'ebano, che le urla qui dentro
non riescono a scalfire.
Ci credereste?
Nessun commento:
Posta un commento