La sigaretta è pronta.
L'ufficio silenzioso.
Tiro le tende per impedire alla notte
di guardare dentro.
Non la vedo,ma la sento insistere e agitarsi,
tirarsi su,in piedi sul davanzale,
arrampicandosi sul vetro della finestra
come un insetto morente...
Mi viene da pensare questo:
i venditori di fede conservano una mano in tasca
quando salta la corrente
e il boia
piange in silenzio nella sua solitaria
camera ammobiliata
sissignore,
oggi ho riempito la
vasca da bagno
quasi fino
all’orlo,
ho chiuso il
rubinetto,
mi sono tolto
le mutande
e ho pensato alla
Thailandia
e alle
Maldive e un po’
anche allo
Sri Lanka,
prima di depositare
il mio culo peloso sul fondo del mio placido
oceano.
gli dèi sanno essere
piuttosto cattivi
nei rari momenti in cui non sono
assenti.
giovedì 31 gennaio 2008
sabato 26 gennaio 2008
GUERRA
Un bagliore improvviso investì lo scantinato, quando la porta in cima alla scala venne aperta. Una ragazza bionda, strizzata in un’aderente uniforme verde da infermiera, chiuse la porta e lentamente, facendo attenzione a non cadere dai tacchi alti, scese la scala fino al centro del monolocale.
“Herr doctor!” esclamò guardandosi intorno, “Sono arrivata! Sono qui, herr doctor!”
Una mano grinzosa scostò la tenda, lasciando intravedere dietro di essa un letto sfatto, un lavandino e un piccolo comodino sormontato da un’abat-jour stile anni ’30. Il dottor Siegmund Zeller sorrise, inforcò gli occhiali, tirò la tenda e si avvicinò alla ragazza.
“Fräulein Stuner” disse, sbirciandole nella scollatura, “Tuo squillante puonciorno è meglio di caffè calto…Magnifico come profilo di Kaiser…”
La ragazza sorrise, contraendo involontariamente le tette col rischio di farle esplodere. Zeller si sedette alla scrivania e, senza perdere nemmeno un secondo, afferrò uno dei registri che aveva davanti cominciando a spulciarlo con meticolosa precisione, passando in rassegna tutte le voci che vi erano riportate.
“Laforo procede alla crande” disse, “Noi cià messa via crande quantità di merce. Ma noi defe preparare ancora. Noi defe preparare molta quantità di meticine, ja?”
“Certo, herr doctor” rispose la ragazza, mettendosi seduta sulla poltrona e accavallando le gambe fino a scoprire le mutandine, “Solo, vorrei chiederLe il permesso di andare via prima, oggi”.
“Antare via prima?” ripeté il dottore, immerso nelle sue carte, “E perché mai?”
“Il mio fidanzato mi ha invitata fuori a cena. Ci terrei ad andare, se per Lei non è un problema”.
Zeller alzò la testa e sorrise, chiudendo gli occhi come un gatto nel sole. “Ja, ja…Fitanzato, ja. Io capisce. Io capisce perfettamente. Anch’io era fitanzato, una volta. Io sa pene cosa significa. Miei tempi, in Cermania, molte femmine e molto fitanzato, ja? Quelli era pei tempi, prima che scoppia cuerra e tutto finisce. Prima che cuerra prende te con forza e trascina via da femmine e da amici…Cuerra è rovina per tutti, ma di più quando perdi. Quando gente guarda te male, e tu ha fatto solo tuo dovere. E tu domanda: ‘Cosa fatto io che tu guarda me con tanto odio?’ E gente sputa te addosso. Gente insulta e dice cattiferie. Ancora occi, topo sessant’anni, gente guarda e dice brutte parole. Mein Gott!” esclamò, “Uno non può pere pirra con amici che ancora glielo rinfacciano topo sessant' anni! Tu capisce? Forse che io ho mai detto loro chi frequentare? Che amici afere? Ma loro freca niente. Loro ricorta sempre come se fosse ieri, e tu nasconde tutto il tempo…Niente fitanzata, niente amici, niente ti niente…”
“Scusi se glielo dico, herr doctor, ma io credo che dovrebbe prendere un po’ d’aria ” disse la ragazza, “Dovrebbe uscire, ogni tanto. Camminare. Ossigenarsi. C’è un’intera città che vive, là fuori. Come fa a restarsene sempre chiuso qua sotto? Non le fa mica bene. Possibile che non impazzisce, a restare sempre chiuso qua dentro?”
“Pazzia è dappertutto dentro persone” disse il dottor Zeller, “Ma persona pazza non sa di essere. E’ altri che vede lui pazza. Tu vedi me pazzo, mein Liebe?”
“Certo che no, herr doctor. Dico solo che…”
"Molto pene," disse il dottore, dirigendosi verso uno dei tavoli, “Tu preoccupi per me, tu brafa racazza che prende cura di uomo anziano, ja? Sehr gut…Tu brafa racazza che aiuta me in laforo e fa sentire meno solo...Tu fede?" disse, indicando una serie di ciotole colme di pillole colorate, "Tu fede che noi quasi pronti? Noi già messo via tanta meticina e altra ancora da fare. Tu ha imparato colori di pillole, vero?"
“Quella gialla…Quella gialla serve a guarire dal diabete. Quella verde da…”
“Nein, nein!” la interruppe il vecchio, “Quante folte io detto te! Pasticca cialla è cura di cancro! Pasticca plu cura morpo di Alzheimer! Pasticca pianca cuarisce da sintrome di Down!…Perché tu tanto pella e tanto stupida, meine Liebe? Dimmi: dofe io trofato te? Tu messo forse annuncio su ciornale?”
“No, nessun annuncio. Non si ricorda? Io sono la nipote di Hermann”
“Hermann?”
“Sì. Hermann Goer –“
“Tu non fa nomi!” esclamò Zeller, “Tu pazza? Tu mai fare nomi! Se tu fa nomi qualcuno macari sente e noi kaputt! Tu mai, fare nomi! Verstanden?” disse il dottore, passandole un braccio intorno alle spalle, facendo scivolare una mano su un seno della ragazza fino a contenerlo tutto, “Tu sempre stare attenta, quando fa nome” disse, serrando le dita intorno a quella massa carnosa, “Io non fa mai, nomi. Nome è come condanna, anche topo sessant'anni’anni, perché cente ricorda sempre…”
La ragazza si divincolò con eleganza dalla presa, tornando a sedersi in poltrona. Zeller si aggiustò il camice bianco segnato da macchie di caffè e bruciature di sigarette e la raggiunse alla scrivania.
“Tu deve sempre stare attenta anche quando viene qui." disse il dottore, "Se qualcuno scopre noi, noi finiti. Ma nostro laforo troppo importante per finire. Troppo. Anche se gente non capisce questo. Anche se tu spieghi, loro non capisce lo stesso. Loro non sa che se non era per cuerra, noi occi in un fero laporatorio, con strumenti moterni, e forse con premio Nopel su caminetto di casa…Ma cuerra ha rovinato tutto, ja? Niente più camino, o fitanzato, o amici…Tu sa che io non opera più da millenovecentoquarantasei? E non tocca femmina da millenovecentosettantuno? Io sempre costretto vivere come clandestino. Sempre nascosto, come rifuciato. Americani tentato di mettere mani su di me a fine di cuerra, e russi lo stesso. A fine di cuerra, americani e russi tentato di mettere mani su tutti scienziati e tottori teteschi rimasti. Americani e russi come maniaci sessuali. Loro sempre tenta di mettere mani addosso a qualcuno. Così io scappa, prima in Argentina e poi in Venezuela. Poi in Sfizzera. Infine qui in Italia. In Italia da millenovecentosessantasei. Io cirato tante città, prima di questa. Poi trova questa. Bolzano/Bozen. Io vede e pensa: ‘Qua come stare a casa. Qua sente parlare mia lincua. Io ferma qua, perché qua sente meno nostalcia’…Io compatte nostalcia con brintisi, con mio ciratischi, e con mio tiario, perché io tiene tiario, sì. Io scrife tiario tutti i ciorni da millenovecentotrentaquattro. Io così tanti tiari che enciclopedia, a confronto, è depliant per turisti. Io scritto tutto quanto, mein Liebe. Scritto di cuerra. Scritto di me e di miei amici. Scritto anche di tuo nonno. Tu vuole sapere cosa successo in un ciorno qualsiasi? Pasta che tu domanda. Tu ha domanda che interessa, meine Liebe?"
“Per la verità, herr doctor, la cosa che vorrei sapere è come faremo a vendere le nostre medicine..."
“Fendere?!” ripeté Zeller, “Fendere?! Che vuol dire ‘fendere’?! Noi non lafora per soldi, fräulein. Noi mai, laforato per soldi! Tu credi che noi fatto qualcosa per soldi? Puah! Miei amici ed io, mai fatto niente per soldi! Tu credi che Adolf ricco? O Josef, o Rudolph? O tuo nonno Hermann? Nessuno di noi, ricco. Noi sputa, su soldi! Noi con soldi pulisce culo!… Fendere! Noi non fenditori! Noi tottori! Noi trofa cura per malattie e malattie kaputt! Anche se poi tu pevi pirra con amici e gente chiama te ‘criminale’!”
“E allora come intende fare?”
“Noi spaccia” rispose il dottore, “Noi va su strada, in bar, in locali con musica alta e donne nude, in scuole, dappertutto…Noi va e spaccia. Noi dice prezzo passo, così gente compra più folentieri. Noi prepara prima tosaccio di pillole e poi spaccia con sacchetto o scatola o altra cosa, verstanden?”
"Ma noi, herr doctor, dobbiamo vendere i nostri prodotti ai malati. Mica alla gente sana”
Zeller scosse la testa. "Molta gente malata e non sa, mia cara. Molta gente crede stare bene e invece già mezza kaputt. Noi fendere loro meticina per stare meglio senza che loro sappia”
“Non capisco…”
“Noi curare gente con malattia e prevenire malattia in gente sana. Solo che noi non dire. Noi furbi. Noi dire che pillole aumentano energie, o migliorano memoria, o compattono insonnia, o fanno tifentare cazzo pello turo…Loro credono, questo. E suggestionano se stessi. Loro poi convinti che daffero ricordano meglio o hanno cazzo più turo, e infece cuariscono da malattia o tengono malattia lontana. Verstanden?”
"E chi s’incaricherà di far circolare la roba?” domandò la ragazza.
“Tu, fa circolare all’inizio” rispose il vecchio, “Tu racazza ciofane e pella, ja? Uomo piace, racazza ciofane e pella. Tu va e spaccia nostre meticine. Nessuno uomo con cazzo e ormoni tice no a racazza ciofane e pella come tu. Tu spaccia anche a donne, natürlich, ma uomo ferrà da te senza che nemmeno tu avvicini lui. Tu ha forse paura che uomo si avvicina?”
La ragazza non rispose. Si accese nervosamente una sigaretta, chiudendo le gambe come un sipario a spettacolo concluso.
“Io capisce che macari non piace” continuò Zeller, “Ma in crande affare occorre a folte ubbidire anche se non piace. Anch’io fatto cose che non piaceva, durante cuerra. Una folta viene da me ufficiale di SS. Lui entra in mio ampulatorio senza pussare. Lui non ha appuntamento, ma ha ordine di parlare a me. Lui parla piano, perché paura che qualcuno di Gestapo sente. Persino ufficiali di SS ha sempre avuto paura di Gestapo…Inzomma, lui fiene da me con ordine superiore e dice ‘Laforerai con noi per crande vittoria finale’. Io dico lui che io non soldato, io tottore. Io usare pisturi e sirinca, non fucile. E lui dice ‘Tuo pisturi e tua sirinca serfire per crande vittoria finale’. Io allora dico lui va bene, io curare soldati teteschi feriti in battaglia. Ma lui dice ‘Tu non lafora con soldati teteschi feriti in battaglia. Tu lafora con soldati nemici’. Io dico lui ch’è stupido curare soldati nemici feriti se poi è lui che ferisce. Questa è crande cazzata, no? Ma come, lui spara a soldato nemico e io poi cura soldato nemico ferito da lui? Allora o tu uccidi soldato nemico o tu non spara affatto. Se no, tottore nemico cura soldato nemico ferito. Forse che soldato nemico non ha tottore? Io dico che ha. Tutti ha tottore che cura soldati feriti. Ma lui dice ‘Tu non lafora su soldato nemico ferito. Tu lafora su soldato nemico morto.’. Io dico lui ‘Crazie per fiducia, ma solo Padreterno sa cuarire soldato morto’, e lui spiega che mio compito è fare experimenti su cadaferi nemici per poi ripeterli su pricionieri vivi…Cuerra è ganz brutto affare per tutti, vivi e morti, ja?”
La ragazza deglutì piano. "Si riferisce soprattutto agli ebrei, vero herr doctor?"
Zeller non rispose. Erano soprattutto quei pensieri.
Pensieri terribili.
E quei seni. Seni giganteschi.
Seni e morte in uno scantinato male illuminato.
"Tu sa quando guerra finirà?" disse.
lunedì 21 gennaio 2008
SAMIZDAT n°10 (ovvero Oh no, sarà mica un altro cazzo di racconto?!)
Anno del Signore Duemilaotto.
Venerdì,4 Gennaio.
L'ufficio è freddo, dopo la chiusura
patita durante le festività natalizie.
Qualcuno è passato: danny, docu, Mr.Viz...
Si sono fermati un istante, di là al bar,
come cacciatori stregati dalle proprie tracce.
Torniamo tutti,prima o poi.
Puoi vederla in questi termini,
se ti va:
siamo come assassini in cerca
di un luogo del delitto.
Uno qualsiasi.
Preferibilmente vicino.
Possibilmente famigliare.
Eventualmente adatto per essere
condiviso.
Canella è scomparso.
Ho intravisto Lilith,però.
Radiosa come una bambina che va
incontro al sole su un'altalena.
E naturalmente tutti gli altri...
Che sia un anno su misura per tutti voi.
Dentro e fuori di qui.
Anno del Signore Duemilaotto.
Venerdì,4 Gennaio.
"Finirà mai, questo cazzo di Medioevo?"
mi ha chiesto HB.
"Il 2008, anche lui penzola dal muro"
gli ho risposto, "In 12 mesi riusciremo
ad impiccarlo. Nel frattempo, che ne dici
di berci un goccio?"
domenica 13 gennaio 2008
Samizdat n°9 (ovvero La troia ideale)
Per un po' è rimasta sdraiata sul divano
e di chiuso aveva
giusto gli occhi.
"Potresti chiuderle, per favore?" le ho domandato
mentre frugavo nei cassetti della scrivania
in cerca di fiammiferi...
"Fino a pochi istanti fa le volevi
spalancate"
mi ha risposto.
"Già, ma fino a pochi istanti fa
non erano così volgari. Adesso quella cosa
spaventerebbe anche Stephen Hawking..."
Si è tirata su a sedere.
Ha sbuffato, lasciando che quelle sue tette
sfidassero la forza di gravità.
Ha preso la rivista dal tavolino,
una vecchia rivista di cinema,
mentre dei miei fiammiferi non c'era traccia...
"Hai mica d'accendere?" le ho chiesto.
"Sicuro. Ma con le sigarette non funziona"
ha risposto, sfogliando quella rivista e fermandosi
su quella foto:
Phoenix (ma non la città)
"Non so proprio come sia potuto morire" ha detto.
"E' una cosa che capita spesso, alle persone" ho detto,
aprendo un altro cassetto, "Ma non temere, perché capita a tutte
una volta soltanto"
"Che bella scoperta..."
"Questo però vale solo se parliamo della morte organica"
ho aggiunto.
"Beh io, furbone, non ne conosco altre"
Non so perché ma
lo supponevo.
Ho lasciato perdere i fiammiferi.
Sono andato al cesso,
mi sono tirato giù la cerniera lampo,
ho allargato la gambe,
ho cominciato una
lentissima
meticolosa
pisciata
dritto in bocca
alla tazza.
Quando sono tornato in ufficio
lei era ancora là,
vestita di un leggero sorriso,
con quella rivista aperta davanti agli occhi
più espressivi che avessi visto negli ultimi mesi.
"Era fico da impazzire," ha detto, "Proprio bello. Quelli belli
non dovrebbero morire".
Non ho detto niente.
Mi sono versato un goccio del solito bourbon.
La morte è una troia senza gusti particolari.
Ma una troia inutile.
Impossibile scoparla.
e di chiuso aveva
giusto gli occhi.
"Potresti chiuderle, per favore?" le ho domandato
mentre frugavo nei cassetti della scrivania
in cerca di fiammiferi...
"Fino a pochi istanti fa le volevi
spalancate"
mi ha risposto.
"Già, ma fino a pochi istanti fa
non erano così volgari. Adesso quella cosa
spaventerebbe anche Stephen Hawking..."
Si è tirata su a sedere.
Ha sbuffato, lasciando che quelle sue tette
sfidassero la forza di gravità.
Ha preso la rivista dal tavolino,
una vecchia rivista di cinema,
mentre dei miei fiammiferi non c'era traccia...
"Hai mica d'accendere?" le ho chiesto.
"Sicuro. Ma con le sigarette non funziona"
ha risposto, sfogliando quella rivista e fermandosi
su quella foto:
Phoenix (ma non la città)
"Non so proprio come sia potuto morire" ha detto.
"E' una cosa che capita spesso, alle persone" ho detto,
aprendo un altro cassetto, "Ma non temere, perché capita a tutte
una volta soltanto"
"Che bella scoperta..."
"Questo però vale solo se parliamo della morte organica"
ho aggiunto.
"Beh io, furbone, non ne conosco altre"
Non so perché ma
lo supponevo.
Ho lasciato perdere i fiammiferi.
Sono andato al cesso,
mi sono tirato giù la cerniera lampo,
ho allargato la gambe,
ho cominciato una
lentissima
meticolosa
pisciata
dritto in bocca
alla tazza.
Quando sono tornato in ufficio
lei era ancora là,
vestita di un leggero sorriso,
con quella rivista aperta davanti agli occhi
più espressivi che avessi visto negli ultimi mesi.
"Era fico da impazzire," ha detto, "Proprio bello. Quelli belli
non dovrebbero morire".
Non ho detto niente.
Mi sono versato un goccio del solito bourbon.
La morte è una troia senza gusti particolari.
Ma una troia inutile.
Impossibile scoparla.
giovedì 10 gennaio 2008
SAMIZDAT n°8 (ovvero La Sindrome di Stoccolma)
La carovana di mormoni stava attraversando il selvaggio West alla ricerca di un posto dove fermarsi e prosperare.
Il capo mormone era un mite uomo di mezza età, vedovo e con una fluente barba nera che gli toccava quasi le ginocchia. Tutti i mormoni erranti erano affascinati dalla barba del capo, ma ancora di più lo erano da sua figlia.
La figlia del capo mormone aveva diciott’anni, le tette come palloncini gonfi e una cascata di capelli neri lunghi fin oltre il culo. Tutti i mormoni erranti erano affascinati dai capelli della figlia del capo, ma ancora di più lo erano da ciò che nascondevano laggiù in basso. Ma la figlia del capo mormone era una ragazza di sani principi, timorosa del Signore e senza grilli per la testa. Non aveva un fidanzato, non possedeva bei vestiti, non diceva parolacce e non aveva mai visto un uccello se non in cielo. Tutto il suo tempo lo trascorreva a pregare, a cucinare per il padre e a masturbarsi in fondo al carro.
Un giorno, la carovana trovò un pezzo di terra fertile dove mettere radici. L’unico problema era che quel pezzo di terra fertile in realtà era un luogo sacro agli indiani, e agli indiani non era andata giù di averci radici mormoni sul loro luogo sacro. Così erano scesi in massa a cavallo dalle colline circostanti, armati di lance, fucili e frecce infuocate, attaccando gli inermi mormoni, bruciando le loro case, rubando i loro cavalli e violentando le loro donne. Tutte tranne una: la figlia del capo.
La figlia del capo –s’erano resi immediatamente conto - somigliava in modo impressionante a Cucamonga, figura leggendaria e assai venerata, antica protettrice delle sorgenti d’acqua, le cui gesta divine venivano tramandate oralmente di generazione in generazione da tempo immemorabile.
Così, gli indiani avevano rapito la ragazza portandola nella loro riserva e sistemandola nel teepee vicino a quello del capo tribù. Il capo tribù, un anziano e saggio uomo dalla pelle simile alla corteccia della sequoia, aveva dato immediatamente ordine di preparare la giovane donna bianca per il sacro rito propiziatorio attraverso il quale sperava d’ingraziarsela, così che le acque dei fiumi e dei torrenti tornassero limpide e pulite e popolate di pesci come un tempo. Il rito consisteva nell’offrire alla dea i più valorosi guerrieri della tribù, quattro come i principali corsi d’acqua della riserva, mentre il resto della tribù avrebbe ballato, cantato e pregato attorno ai fuochi accesi. Fu così che le squaws, dopo aver spogliato e lavato la donna bianca, le dipinsero sul volto i segni propiziatori, la cosparsero di unguenti e la fecero stendere su una stuoia all’interno del teepee, prima di far entrare uno dopo l’altro i quattro valorosi guerrieri, mastodontici esemplari di pellerossa orgogliosi e ignari di cosa fossero paura e imbarazzo. A notte fonda, quando canti, balli e preghiere erano terminati già da diverse ore, il capo indiano trovò i quattro guerrieri riversi sotto le sorelle stelle, i volti scavati, gli occhi vitrei, il respiro appena percettibile…Interrogati separatamente, i quattro avevano parlato allo stesso modo: Cucamonga possedeva un tunnel troppo profondo ed affamato, per riuscire a colmarlo tutto saziandolo a dovere.
Il giorno seguente il capo indiano fece ripetere il rito, stabilendo che i guerrieri avrebbero dovuto agire simultaneamente, perché evidentemente solo così l’offerta a Cucamonga sarebbe stata completa e accettata. L’esito, però, fu lo stesso della volta precedente. Apparentemente, niente sembrava in grado di appagare la giovane dea, e i fiumi continuavano ad essere pieni di piscio e poveri di pesci. Dopo aver consultato sassolini e viscere di serpente, il capo indiano ordinò a tutti gli uomini della tribù in grado di assicurare una soddisfacente erezione, di entrare nel teepee della donna e offrirsi ad ella senza risparmio. Al termine del rito, durato un giorno e una notte, le acque erano ancora contaminate di orina e i pesci venivano a galla morti, ricoperti di schiuma e sacchetti di plastica.
Quando il capo tribù si rese conto che i suoi uomini, un tempo temibili guerrieri e razziatori, ora facevano fatica a portare le mani alla bocca per dissetarsi, si convinse che la giovane donna bianca doveva essere una reincarnazione malvagia, di Cucamonga, e che il solo scopo della sua apparizione era arrecare sventura e prostrazione al popolo indiano.Era stato così convocato il Gran Consiglio, nel quale era prevalsa l’opinione che uccidere una divinità (per quanto malvagia) avrebbe potuto rivelarsi un atto ancor più funesto del lasciarla in vita. Si decise allora di riportarla là dov’era stata trovata, tra quella gente vestita tanto stranamente, di sicuro altre malvagie entità meta-umane già pronte magari a vendicarsi.
Una notte, la ragazza venne condotta bendata fino a un sentiero al termine del quale una strada l’avrebbe ricongiunta alla sua gente. Per tutto il tragitto non fece che gridare e lamentarsi e inveire, cosa questa che rafforzò la convinzione circa la sua natura maligna ed egoista. Slegata, sbendata, scaricata e abbandonata, la ragazza aveva infine ritrovato la via di casa, giungendo all’alba di un limpido mattino alla propria comunità mormone che, nel frattempo, era tornata a vivere all’interno dei carri. Ci fu una gran festa, per quell’insperato ritorno, durante la quale il capo mormone decise ch’era preferibile rimettersi in cammino e cercare un altro luogo, dove fermarsi e prosperare.
Trovatolo dopo settimane di polveroso peregrinaggio, la comunità mormone si era subito data a costruire una nuova sede stabile, ma il problema era che quella terra era un cimitero appartenente ad un’altra tribù indiana, e la tribù indiana non aveva piacere che una comunità mormone dimorasse sul suo cimitero. Fu così che la tribù indiana scese in massa all’attacco dalle colline circostanti, e in mezzo a quel sanguinoso trambusto nessuno riuscì mai a capire cosa cazzo avesse da sorridere tanto la giovane figlia del capo…
° ° °
"Cosa dovrebbe rappresentarmi, questa storia?"
"E' una storia d'amore, tesoro" le dico, "Non è di questo che
stavi parlando?"
"Io stavo parlando di noi, brutto stronzo..."
"D'accordo, ora per piacere vorresti abbassare
quella pistola? Renditi conto che se premi quel grilletto
ti sentiranno in tutto il forum..."
Mi accendo una sigaretta.
Mi guardo intorno
nell'ufficio deserto come una mente sgombra.
Una piccolo calibro puntata addosso,
tutta nera e lucente
come uno scarafaggio lucidato.
A volte le cose non vanno come te le aspettavi.
Altre volte invece, non vanno affatto.
Sono le 2.35 pm
di un venerdì pomeriggio.
Queste donne che parlano d’amore
sembrano così serie mentre
le ascolto
eppure
i loro argomenti finiscono sempre molto in fretta
quasi che fosse un problema di
memoria
come se dell’amore
mimassero solo le movenze
ricordando di averle viste
da qualche parte
un giorno
di sfuggita.
Non sanno nulla, dell’amore
e l’amore non sa
nulla di loro.
Mi piacerebbe tanto
poterli
presentare.
Il capo mormone era un mite uomo di mezza età, vedovo e con una fluente barba nera che gli toccava quasi le ginocchia. Tutti i mormoni erranti erano affascinati dalla barba del capo, ma ancora di più lo erano da sua figlia.
La figlia del capo mormone aveva diciott’anni, le tette come palloncini gonfi e una cascata di capelli neri lunghi fin oltre il culo. Tutti i mormoni erranti erano affascinati dai capelli della figlia del capo, ma ancora di più lo erano da ciò che nascondevano laggiù in basso. Ma la figlia del capo mormone era una ragazza di sani principi, timorosa del Signore e senza grilli per la testa. Non aveva un fidanzato, non possedeva bei vestiti, non diceva parolacce e non aveva mai visto un uccello se non in cielo. Tutto il suo tempo lo trascorreva a pregare, a cucinare per il padre e a masturbarsi in fondo al carro.
Un giorno, la carovana trovò un pezzo di terra fertile dove mettere radici. L’unico problema era che quel pezzo di terra fertile in realtà era un luogo sacro agli indiani, e agli indiani non era andata giù di averci radici mormoni sul loro luogo sacro. Così erano scesi in massa a cavallo dalle colline circostanti, armati di lance, fucili e frecce infuocate, attaccando gli inermi mormoni, bruciando le loro case, rubando i loro cavalli e violentando le loro donne. Tutte tranne una: la figlia del capo.
La figlia del capo –s’erano resi immediatamente conto - somigliava in modo impressionante a Cucamonga, figura leggendaria e assai venerata, antica protettrice delle sorgenti d’acqua, le cui gesta divine venivano tramandate oralmente di generazione in generazione da tempo immemorabile.
Così, gli indiani avevano rapito la ragazza portandola nella loro riserva e sistemandola nel teepee vicino a quello del capo tribù. Il capo tribù, un anziano e saggio uomo dalla pelle simile alla corteccia della sequoia, aveva dato immediatamente ordine di preparare la giovane donna bianca per il sacro rito propiziatorio attraverso il quale sperava d’ingraziarsela, così che le acque dei fiumi e dei torrenti tornassero limpide e pulite e popolate di pesci come un tempo. Il rito consisteva nell’offrire alla dea i più valorosi guerrieri della tribù, quattro come i principali corsi d’acqua della riserva, mentre il resto della tribù avrebbe ballato, cantato e pregato attorno ai fuochi accesi. Fu così che le squaws, dopo aver spogliato e lavato la donna bianca, le dipinsero sul volto i segni propiziatori, la cosparsero di unguenti e la fecero stendere su una stuoia all’interno del teepee, prima di far entrare uno dopo l’altro i quattro valorosi guerrieri, mastodontici esemplari di pellerossa orgogliosi e ignari di cosa fossero paura e imbarazzo. A notte fonda, quando canti, balli e preghiere erano terminati già da diverse ore, il capo indiano trovò i quattro guerrieri riversi sotto le sorelle stelle, i volti scavati, gli occhi vitrei, il respiro appena percettibile…Interrogati separatamente, i quattro avevano parlato allo stesso modo: Cucamonga possedeva un tunnel troppo profondo ed affamato, per riuscire a colmarlo tutto saziandolo a dovere.
Il giorno seguente il capo indiano fece ripetere il rito, stabilendo che i guerrieri avrebbero dovuto agire simultaneamente, perché evidentemente solo così l’offerta a Cucamonga sarebbe stata completa e accettata. L’esito, però, fu lo stesso della volta precedente. Apparentemente, niente sembrava in grado di appagare la giovane dea, e i fiumi continuavano ad essere pieni di piscio e poveri di pesci. Dopo aver consultato sassolini e viscere di serpente, il capo indiano ordinò a tutti gli uomini della tribù in grado di assicurare una soddisfacente erezione, di entrare nel teepee della donna e offrirsi ad ella senza risparmio. Al termine del rito, durato un giorno e una notte, le acque erano ancora contaminate di orina e i pesci venivano a galla morti, ricoperti di schiuma e sacchetti di plastica.
Quando il capo tribù si rese conto che i suoi uomini, un tempo temibili guerrieri e razziatori, ora facevano fatica a portare le mani alla bocca per dissetarsi, si convinse che la giovane donna bianca doveva essere una reincarnazione malvagia, di Cucamonga, e che il solo scopo della sua apparizione era arrecare sventura e prostrazione al popolo indiano.Era stato così convocato il Gran Consiglio, nel quale era prevalsa l’opinione che uccidere una divinità (per quanto malvagia) avrebbe potuto rivelarsi un atto ancor più funesto del lasciarla in vita. Si decise allora di riportarla là dov’era stata trovata, tra quella gente vestita tanto stranamente, di sicuro altre malvagie entità meta-umane già pronte magari a vendicarsi.
Una notte, la ragazza venne condotta bendata fino a un sentiero al termine del quale una strada l’avrebbe ricongiunta alla sua gente. Per tutto il tragitto non fece che gridare e lamentarsi e inveire, cosa questa che rafforzò la convinzione circa la sua natura maligna ed egoista. Slegata, sbendata, scaricata e abbandonata, la ragazza aveva infine ritrovato la via di casa, giungendo all’alba di un limpido mattino alla propria comunità mormone che, nel frattempo, era tornata a vivere all’interno dei carri. Ci fu una gran festa, per quell’insperato ritorno, durante la quale il capo mormone decise ch’era preferibile rimettersi in cammino e cercare un altro luogo, dove fermarsi e prosperare.
Trovatolo dopo settimane di polveroso peregrinaggio, la comunità mormone si era subito data a costruire una nuova sede stabile, ma il problema era che quella terra era un cimitero appartenente ad un’altra tribù indiana, e la tribù indiana non aveva piacere che una comunità mormone dimorasse sul suo cimitero. Fu così che la tribù indiana scese in massa all’attacco dalle colline circostanti, e in mezzo a quel sanguinoso trambusto nessuno riuscì mai a capire cosa cazzo avesse da sorridere tanto la giovane figlia del capo…
° ° °
"Cosa dovrebbe rappresentarmi, questa storia?"
"E' una storia d'amore, tesoro" le dico, "Non è di questo che
stavi parlando?"
"Io stavo parlando di noi, brutto stronzo..."
"D'accordo, ora per piacere vorresti abbassare
quella pistola? Renditi conto che se premi quel grilletto
ti sentiranno in tutto il forum..."
Mi accendo una sigaretta.
Mi guardo intorno
nell'ufficio deserto come una mente sgombra.
Una piccolo calibro puntata addosso,
tutta nera e lucente
come uno scarafaggio lucidato.
A volte le cose non vanno come te le aspettavi.
Altre volte invece, non vanno affatto.
Sono le 2.35 pm
di un venerdì pomeriggio.
Queste donne che parlano d’amore
sembrano così serie mentre
le ascolto
eppure
i loro argomenti finiscono sempre molto in fretta
quasi che fosse un problema di
memoria
come se dell’amore
mimassero solo le movenze
ricordando di averle viste
da qualche parte
un giorno
di sfuggita.
Non sanno nulla, dell’amore
e l’amore non sa
nulla di loro.
Mi piacerebbe tanto
poterli
presentare.
Il coraggio e una bottiglia di birra vuota
“Non puoi scrivere di quella bottiglia di birra”
ha detto, “Non puoi scrivere di avermi
chiavata con quella...”
“D'accordo” ho detto
io, “Non scriverò di averti
chiavata con una bottiglia di birra,
del resto non ci sarebbe nemmeno
niente di originale, dal momento che era
vuota”
“Anzi” ha detto, “Non scriverai proprio di avermi
scopata...”
“Come vuoi” ho detto
io, “Non lo scriverò”.
“Stammi bene a sentire:” ha detto, “Tu non scriverai
di me in nessun modo e per nessun motivo, e io
da parte mia non dirò a nessuno che
quando vieni hai il vizio di
urlare...”
“Ok” ho detto
io, “Non scriverò di te e nemmeno
dei cosa, dei come e dei quando”.
“Magari invece sarò io a scrivere di te”
ha detto, “Potrei farlo benissimo...”
“Potresti eccome” ho detto
io.
“Sarei perfettamente in grado
di farlo...” ha detto
“Lo so anch'io che ne saresti
capace” ho detto
“E magari” ha detto sorridendo,
“Scriverei che tu senza volgarità non sei in grado
di eccitarti. Tu questo non avresti mai
il coraggio di scriverlo...”
“Mi sa che hai ragione” ho detto
io, “Non avrei mai il coraggio di scrivere
una cosa come questa”.
ha detto, “Non puoi scrivere di avermi
chiavata con quella...”
“D'accordo” ho detto
io, “Non scriverò di averti
chiavata con una bottiglia di birra,
del resto non ci sarebbe nemmeno
niente di originale, dal momento che era
vuota”
“Anzi” ha detto, “Non scriverai proprio di avermi
scopata...”
“Come vuoi” ho detto
io, “Non lo scriverò”.
“Stammi bene a sentire:” ha detto, “Tu non scriverai
di me in nessun modo e per nessun motivo, e io
da parte mia non dirò a nessuno che
quando vieni hai il vizio di
urlare...”
“Ok” ho detto
io, “Non scriverò di te e nemmeno
dei cosa, dei come e dei quando”.
“Magari invece sarò io a scrivere di te”
ha detto, “Potrei farlo benissimo...”
“Potresti eccome” ho detto
io.
“Sarei perfettamente in grado
di farlo...” ha detto
“Lo so anch'io che ne saresti
capace” ho detto
“E magari” ha detto sorridendo,
“Scriverei che tu senza volgarità non sei in grado
di eccitarti. Tu questo non avresti mai
il coraggio di scriverlo...”
“Mi sa che hai ragione” ho detto
io, “Non avrei mai il coraggio di scrivere
una cosa come questa”.
martedì 8 gennaio 2008
Le violette di Freud
pensaci, la psicanalisi è figlia
della solitudine
e di una
madre
ingombrante
le donne che si arrovellano su quale
copriletto
comprare,
di quale
tessuto
di quale
colore
e se
a disegni oppure
no,
per poi magari infilarci sotto
il
primo uomo che
capita.
a volte penso che mi servirebbe
una donna che adora le violette come l’intendeva Freud
ma Siegmund aveva
un’ottima scusa per stenderle sul divano
evitando giri di ballo
e di parole
e qualunque altro
stucchevole
complimento.
della solitudine
e di una
madre
ingombrante
le donne che si arrovellano su quale
copriletto
comprare,
di quale
tessuto
di quale
colore
e se
a disegni oppure
no,
per poi magari infilarci sotto
il
primo uomo che
capita.
a volte penso che mi servirebbe
una donna che adora le violette come l’intendeva Freud
ma Siegmund aveva
un’ottima scusa per stenderle sul divano
evitando giri di ballo
e di parole
e qualunque altro
stucchevole
complimento.
lunedì 7 gennaio 2008
In memoria dell'amico Robert J.

Aveva 28 anni quando sposò una ragazzina di 16, che l'anno dopo morì nel mettere al mondo il loro primo ed unico figlio...
Negli Stati Uniti la Borsa era crollata, ma nello Stato del Mississippi questo non aveva molta importanza se eri nero e se ciò che cominciava a bruciarti dentro si chiamava blues...
Nel 1931 si sposò per la seconda volta, ma il blues è una malattia dell'anima che conosce una sola cura: assecondarla fino in fondo...
Fu così che per un anno questo mediocre chitarrista e cantante scomparve dalla faccia della Terra, come se dietro di sè non avesse lasciato niente e nessuno...
Quando riapparve, i musicisti navigati di un tempo rimasero sbalorditi della sua tecnica e della sua confidenza con quella malattia che pensavano di conoscere meglio di chiunque altro, e così non era...
Aveva 32 anni e la sua anima apparteneva a Papa Leg, la divinità che presiede gli incroci stradali...
Sei anni dopo, in una notte d'Agosto, Papa Leg venne a riscuotere il suo credito attraverso una bottiglia di whiskey già aperta...
Il nostro nuovo amico Robert....
Buona serata
Brandelli di una serata post atomica
...L'orchestra è un muscolo che si contrae e si rilassa, le note si mescolano al fumo e le nostre ballerine, qui sulla pista illuminata da cipria e rossetto, ballano come se non ci fosse un domani...
...E' da un po' che ne tengo una incollata ai miei occhi, è bionda e sorride, mentre le sue gambe si muovono come desideri impazziti dietro il mio cervello...Mi ricorda qualcuno, ma è stato molto tempo fa, prima che la Guerra iniziasse e finisse, come sostiene qualcuno...
Finisco il mio drink. Mi guardo intorno.
Mi chiedo dove stia andando Lilith, fingendo di essere arrabbiata. Il bagno delle signore, ma certo.
Canella è seduto al suo tavolo. E dall'espressione, direi ch'è serata da whiskey.
Mi accendo una sigaretta. Tutto tranquillo. Tutto come dev'essere, più o meno.
Un giovane cameriere mi si avvicina domandandomi se voglio un rabbocco.
Faccio di sì con la testa.
"Con acqua a parte, signore?"
"Sicuro" rispondo, allungandogli una mancia.
"Grazie, grazie mille, signore!"
...Pimpi si allontana ancheggiando flessuosa nel suo abito nero di lamè, aderente come una mano di vernice...Le nostre ballerine siedono ai tavoli dei clienti, distribuite come benedizioni, trasudando erotismo proibito per uomini con tanta grana da rischiare un'ernia...
Danny è appena entrato. Ci raggiunge al tavolo.
Canella sorride, agitando il ghiaccio nel bicchiere con un rumore di dadi truccati.
HB scosta una sedia per il nostro amico.
"E' un po' che non ti si vedeva" dico.
Danny sorride, allentando un poco il nodo della cravatta. "Anche voi mi siete mancati..."
Le luci si abbassano. I rumori sembrano evaporare.
Sul palco un microfono gioca al trapezista sull'asta.
Qualcuno sta per cantare...
Anno 2007. Parigi brucia...
...E' da un po' che ne tengo una incollata ai miei occhi, è bionda e sorride, mentre le sue gambe si muovono come desideri impazziti dietro il mio cervello...Mi ricorda qualcuno, ma è stato molto tempo fa, prima che la Guerra iniziasse e finisse, come sostiene qualcuno...
Finisco il mio drink. Mi guardo intorno.
Mi chiedo dove stia andando Lilith, fingendo di essere arrabbiata. Il bagno delle signore, ma certo.
Canella è seduto al suo tavolo. E dall'espressione, direi ch'è serata da whiskey.
Mi accendo una sigaretta. Tutto tranquillo. Tutto come dev'essere, più o meno.
Un giovane cameriere mi si avvicina domandandomi se voglio un rabbocco.
Faccio di sì con la testa.
"Con acqua a parte, signore?"
"Sicuro" rispondo, allungandogli una mancia.
"Grazie, grazie mille, signore!"
...Pimpi si allontana ancheggiando flessuosa nel suo abito nero di lamè, aderente come una mano di vernice...Le nostre ballerine siedono ai tavoli dei clienti, distribuite come benedizioni, trasudando erotismo proibito per uomini con tanta grana da rischiare un'ernia...
Danny è appena entrato. Ci raggiunge al tavolo.
Canella sorride, agitando il ghiaccio nel bicchiere con un rumore di dadi truccati.
HB scosta una sedia per il nostro amico.
"E' un po' che non ti si vedeva" dico.
Danny sorride, allentando un poco il nodo della cravatta. "Anche voi mi siete mancati..."
Le luci si abbassano. I rumori sembrano evaporare.
Sul palco un microfono gioca al trapezista sull'asta.
Qualcuno sta per cantare...
Anno 2007. Parigi brucia...
domenica 6 gennaio 2008
SAMIZDAT n°7 (ovvero Favola del XXI°Secolo)
Beh, la storia in buona sostanza è tutta qui.
C’è un villaggio – un villaggio azteco – e questo villaggio azteco vive costantemente sotto la minaccia dei terremoti. Il guaio è che i suoi abitanti non sanno proprio cosa sia, un terremoto. Per questo, sono convinti che la terra tremi sotto i loro piedi e le loro abitazioni crollino perché il potente dio Askar è in collera con essi. E pensano che il motivo di tanta collera risieda nel loro comportamento, nel loro abituale stile di vita.
Forse – pensano – dipende dal fatto che vegetiamo nell’ozio più turpe, non produciamo nulla, ci stiamo portando lentamente e inconsapevolmente verso l’estinzione…Forse è perché non siamo guerrieri abbastanza valorosi, essi pensano.
Così, si danno a saccheggiare altri villaggi, massacrando i loro abitanti e violentando tutte le loro donne. Rubano, depredano, bruciano tutto ciò che incontrano lungo la loro bellicosa marcia, tagliano la testa ai nemici catturati e da quelle ricavano orinali e vasi da fiori, inquinano i corsi d’acqua che attraversano i territori conquistati, avvelenano la terra così che più nulla possa crescerci sopra…Nonostante tutto, i terremoti non cessano d’angustiarli.
Decidono allora di fare all’opposto. Diventano provetti agricoltori, coltivano le Arti, si mettono a studiare il moto dei pianeti, compilano calendari e addomesticano la natura selvaggia che li circonda, ma nemmeno quello serve a un cazzo, perché ecco nuovi terremoti, nuove e terribili scosse sismiche che provocano rovine e decine e decine di morti. Askar doveva essere incazzato di brutto, ma nessuno riusciva a capire il perché.
I saggi si riuniscono in consiglio per tre giorni e tre notti, senza un solo istante di pausa, neppure per andare a pisciare.
Forse – riflettono i saggi – Askar se ne frega, del suo popolo. Insomma, potrebbero anche non essere loro ad avere qualcosa che non va. Forse è il dio, a non essere del tutto a posto col cervello. Un dio malvagio non sarebbe certo una novità.
Per questo motivo decidono d’ingraziarselo, rivolgendo a lui tutte le loro azioni quotidiane, nella speranza che tanta venerazione possa placare la sua ira impedendo che altre scosse telluriche facciano peggiorare le emorroidi del capo villaggio.
Cominciano a rivolgere al dio assidue preghiere, gli offrono fiori di tutti i colori, costruiscono ciotole e tazze che lo raffigurano, in suo onore erigono un tempio addobbandolo d’ogni genere di ricchezza, intonano canti alla sua magnificenza, lo invocano cospargendosi la testa di cenere ancora fumante…Niente da fare. La terra continua a scuotersi come un setaccio e le emorroidi del capo villaggio somigliano sempre più alla coda di un cane.
Finché un giorno a qualcuno viene in mente un’idea. Magari è banale, ma dopotutto cos’hanno da perdere?
Forse – azzarda costui – Askar è troppo intelligente o troppo stupido, per apprezzare i nostri sforzi. O forse non è questo che il dio vuole. Forse il dio è più simile a noi di quel che crediamo. Forse Askar – conclude – non scopa abbastanza. Lassù magari non c’è una sola dea disposta a dargliela, o con tutta quell’immortalità s’è stufato di ripassarsi sempre le stesse. Oppure l’incorporeità, a lungo andare, gli ha fatto venire nostalgia della carne. Carne calda. E desiderabile.
Decidono così di sacrificare al dio una donna alla settimana, cominciando naturalmente dalle vecchie, le brutte e quelle affette da menomazioni fisiche. Inutile dire che i terremoti continuarono come prima e, anzi, anche più violenti. Askar sarà pure allupato, ma non è un coglione.
I sacrifici proseguono, ma stavolta con donne degne almeno di tal nome, prese a caso dal mazzo senza badare ad amori o parentele. Inspiegabilmente, le cose non cambiano. Il dio sembra non gradire.
Impossibile – pensano – Chiunque si scoperebbe quelle donne più che volentieri.Loro lo hanno fatto per anni. Askar invece, pur non dovendoci spendere un Euro, le rifiuta tutte quante una dopo l’altra, manifestando la propria insoddisfazione attraverso terrificanti sgrullate. A quel punto uno dei saggi avanza un’ipotesi coraggiosa: forse Askar è culo. Forse alla vacca preferisce il manzo. Tutto può essere.
Così prendono il giovane più virile e desiderato del villaggio e, tra le lacrime delle sue tante spasimanti, lo sacrificano al dio. Il giorno seguente ci fu la più clamorosa scossa che avessero mai dovuto sopportare. Se prima Askar era solo incazzato, adesso le palle dovevano girargli come pale d’elicottero.
Ma quando sembravano ormai spacciati, finalmente quei poveri disgraziati scoprono l’arcano. Askar non è per niente finocchio. Askar, al contrario, è un buongustaio. Vuole ciò che solo pochi uomini possono permettersi. Askar vuole carne ancora inviolata.
Iniziano così, una volta alla settimana, a sacrificargli tutte le vergini del villaggio, indipendentemente dall’età e dal ceto sociale. Già dopo la seconda settimana i terremoti cominciano a diminuire quanto ad entità e poi anche come frequenza, fino a cessare del tutto.
La gente tira un sospiro di sollievo, come si dice. E’ felice, può tornare a vivere dimenticandosi la paura provata per così tanti mesi. Sennonché, dopo il primo mese e mezzo le vergini sono belle che finite, e Askar rade al suolo l’intero villaggio fino a farlo sprofondare completamente nella terra.
° ° °
Mi accendo una sigaretta.
L'uomo, nel frattempo, ha smesso di frignare.
"E' una storia curiosa" ammette HB sorridendo,
alzando lo sguardo verso l'uomo, "Come ti è venuta?"
"Non lo so" rispondo, "Probabilmente dipende dalla birra.
Quando bevo grappa non mi succede mai".
"E tu hai capito?" domanda HB rivolgendosi all'uomo.
"E' una storia...che parla di sesso..." risponde quello a fatica.
"Sbagliato" dico io.
"Allora...parla di come sia difficile...accontentare il nostro prossimo..."
"Sbagliato" dice HB, arrotolandosi le maniche della camicia.
"Parla di una cosa ben più importante" dico, "Parla di quanto sia difficile
sentirsi liberi. Perché la libertà è soprattutto uno stato della mente".
Mi siedo al tavolo, qui in magazzino,
due piani sotto il livello stradale.
Una realtà umida e fredda, che odora di tabacco bagnato.
HB sta pulendo il coltello con un fazzoletto di stoffa.
L'uomo attaccato al gancio che penzola dal soffitto ci guarda
con occhi sbarrati, ricominciando a frignare.
E là fuori, da qualche parte, c'è una notte splendida,
intagliata in una tavola d'ebano, che le urla qui dentro
non riescono a scalfire.
Ci credereste?
C’è un villaggio – un villaggio azteco – e questo villaggio azteco vive costantemente sotto la minaccia dei terremoti. Il guaio è che i suoi abitanti non sanno proprio cosa sia, un terremoto. Per questo, sono convinti che la terra tremi sotto i loro piedi e le loro abitazioni crollino perché il potente dio Askar è in collera con essi. E pensano che il motivo di tanta collera risieda nel loro comportamento, nel loro abituale stile di vita.
Forse – pensano – dipende dal fatto che vegetiamo nell’ozio più turpe, non produciamo nulla, ci stiamo portando lentamente e inconsapevolmente verso l’estinzione…Forse è perché non siamo guerrieri abbastanza valorosi, essi pensano.
Così, si danno a saccheggiare altri villaggi, massacrando i loro abitanti e violentando tutte le loro donne. Rubano, depredano, bruciano tutto ciò che incontrano lungo la loro bellicosa marcia, tagliano la testa ai nemici catturati e da quelle ricavano orinali e vasi da fiori, inquinano i corsi d’acqua che attraversano i territori conquistati, avvelenano la terra così che più nulla possa crescerci sopra…Nonostante tutto, i terremoti non cessano d’angustiarli.
Decidono allora di fare all’opposto. Diventano provetti agricoltori, coltivano le Arti, si mettono a studiare il moto dei pianeti, compilano calendari e addomesticano la natura selvaggia che li circonda, ma nemmeno quello serve a un cazzo, perché ecco nuovi terremoti, nuove e terribili scosse sismiche che provocano rovine e decine e decine di morti. Askar doveva essere incazzato di brutto, ma nessuno riusciva a capire il perché.
I saggi si riuniscono in consiglio per tre giorni e tre notti, senza un solo istante di pausa, neppure per andare a pisciare.
Forse – riflettono i saggi – Askar se ne frega, del suo popolo. Insomma, potrebbero anche non essere loro ad avere qualcosa che non va. Forse è il dio, a non essere del tutto a posto col cervello. Un dio malvagio non sarebbe certo una novità.
Per questo motivo decidono d’ingraziarselo, rivolgendo a lui tutte le loro azioni quotidiane, nella speranza che tanta venerazione possa placare la sua ira impedendo che altre scosse telluriche facciano peggiorare le emorroidi del capo villaggio.
Cominciano a rivolgere al dio assidue preghiere, gli offrono fiori di tutti i colori, costruiscono ciotole e tazze che lo raffigurano, in suo onore erigono un tempio addobbandolo d’ogni genere di ricchezza, intonano canti alla sua magnificenza, lo invocano cospargendosi la testa di cenere ancora fumante…Niente da fare. La terra continua a scuotersi come un setaccio e le emorroidi del capo villaggio somigliano sempre più alla coda di un cane.
Finché un giorno a qualcuno viene in mente un’idea. Magari è banale, ma dopotutto cos’hanno da perdere?
Forse – azzarda costui – Askar è troppo intelligente o troppo stupido, per apprezzare i nostri sforzi. O forse non è questo che il dio vuole. Forse il dio è più simile a noi di quel che crediamo. Forse Askar – conclude – non scopa abbastanza. Lassù magari non c’è una sola dea disposta a dargliela, o con tutta quell’immortalità s’è stufato di ripassarsi sempre le stesse. Oppure l’incorporeità, a lungo andare, gli ha fatto venire nostalgia della carne. Carne calda. E desiderabile.
Decidono così di sacrificare al dio una donna alla settimana, cominciando naturalmente dalle vecchie, le brutte e quelle affette da menomazioni fisiche. Inutile dire che i terremoti continuarono come prima e, anzi, anche più violenti. Askar sarà pure allupato, ma non è un coglione.
I sacrifici proseguono, ma stavolta con donne degne almeno di tal nome, prese a caso dal mazzo senza badare ad amori o parentele. Inspiegabilmente, le cose non cambiano. Il dio sembra non gradire.
Impossibile – pensano – Chiunque si scoperebbe quelle donne più che volentieri.Loro lo hanno fatto per anni. Askar invece, pur non dovendoci spendere un Euro, le rifiuta tutte quante una dopo l’altra, manifestando la propria insoddisfazione attraverso terrificanti sgrullate. A quel punto uno dei saggi avanza un’ipotesi coraggiosa: forse Askar è culo. Forse alla vacca preferisce il manzo. Tutto può essere.
Così prendono il giovane più virile e desiderato del villaggio e, tra le lacrime delle sue tante spasimanti, lo sacrificano al dio. Il giorno seguente ci fu la più clamorosa scossa che avessero mai dovuto sopportare. Se prima Askar era solo incazzato, adesso le palle dovevano girargli come pale d’elicottero.
Ma quando sembravano ormai spacciati, finalmente quei poveri disgraziati scoprono l’arcano. Askar non è per niente finocchio. Askar, al contrario, è un buongustaio. Vuole ciò che solo pochi uomini possono permettersi. Askar vuole carne ancora inviolata.
Iniziano così, una volta alla settimana, a sacrificargli tutte le vergini del villaggio, indipendentemente dall’età e dal ceto sociale. Già dopo la seconda settimana i terremoti cominciano a diminuire quanto ad entità e poi anche come frequenza, fino a cessare del tutto.
La gente tira un sospiro di sollievo, come si dice. E’ felice, può tornare a vivere dimenticandosi la paura provata per così tanti mesi. Sennonché, dopo il primo mese e mezzo le vergini sono belle che finite, e Askar rade al suolo l’intero villaggio fino a farlo sprofondare completamente nella terra.
° ° °
Mi accendo una sigaretta.
L'uomo, nel frattempo, ha smesso di frignare.
"E' una storia curiosa" ammette HB sorridendo,
alzando lo sguardo verso l'uomo, "Come ti è venuta?"
"Non lo so" rispondo, "Probabilmente dipende dalla birra.
Quando bevo grappa non mi succede mai".
"E tu hai capito?" domanda HB rivolgendosi all'uomo.
"E' una storia...che parla di sesso..." risponde quello a fatica.
"Sbagliato" dico io.
"Allora...parla di come sia difficile...accontentare il nostro prossimo..."
"Sbagliato" dice HB, arrotolandosi le maniche della camicia.
"Parla di una cosa ben più importante" dico, "Parla di quanto sia difficile
sentirsi liberi. Perché la libertà è soprattutto uno stato della mente".
Mi siedo al tavolo, qui in magazzino,
due piani sotto il livello stradale.
Una realtà umida e fredda, che odora di tabacco bagnato.
HB sta pulendo il coltello con un fazzoletto di stoffa.
L'uomo attaccato al gancio che penzola dal soffitto ci guarda
con occhi sbarrati, ricominciando a frignare.
E là fuori, da qualche parte, c'è una notte splendida,
intagliata in una tavola d'ebano, che le urla qui dentro
non riescono a scalfire.
Ci credereste?
sabato 5 gennaio 2008
Jesus Christ SuperZeta
Non è facile per me scriverti questo post...
Mi ha sorpreso, ritrovarti qui e in perfetta forma per giunta...
Mi ha fatto piacere, così ho deciso d'intervenire, anche se per me non è facile...
E sì che quello indeciso non sono io...
Comunque ci provo, davvero, ce la sto mettendo tutta, Cristo! (oh, scusami...)
Vedi Gesù, le cose non sono quasi mai come appaiono ai nostri occhi,
voglio dire, tu ti sei trascinato per il deserto e hai avuto modo di
rendertene conto, esistono fenomeni che facciamo fatica a spiegarci
(ad esempio Silvia79, Dino Martello, le leggi italiane,la pizza rustica,
anche se riconosco che il giochino dell'acqua e del vino mi è sempre piaciuto molto...)
Ora, io non cammino sull'acqua e tendo a far sì che chi è morto resti tale,
anche solo per non dover aggiornare di continuo la mia rubrica telefonica.
Faccio anch'io dei miracoli, ma solo per arrivare a fine mese.
Ho amato tutte le mie donne, ma molte di loro ho finito col tradirle.
Non ho saputo farne a meno.
Frequento un forum, adesso.
Parliamo di Maddalene e congiungimenti carnali,
di miscele seminali e pratiche onanistiche,
della geografia morale di Sodoma e Gomorra in una Babele d'accenti.
Ma anche di tante altre cose che non sto a dirti, perché sei un nuovo utente
e quindi devi darti un po' da fare per conoscere l'ambiente e muoverti da solo.
Sto cercando di arrivare al punto, dammi solo un secondo...
Io penso di conoscerti meglio di chiunque altro, qui dentro.
Io so cos'hai fatto, tra i 12 e i 30 anni.
Io so che con la storia del fascino c'hai anche un po' marciato.
Io so che il cieco non era veramente cieco, ma solo molto miope.
Io so che le parabole non sono tutte farina del tuo sacco.
Io so che il Paradiso è soprattutto un modo di dire.
Io so di essermi comportato male, con te.
E per questo ti chiedo scusa.
Amici come prima?
Tuo
Giuda.
Mi ha sorpreso, ritrovarti qui e in perfetta forma per giunta...
Mi ha fatto piacere, così ho deciso d'intervenire, anche se per me non è facile...
E sì che quello indeciso non sono io...
Comunque ci provo, davvero, ce la sto mettendo tutta, Cristo! (oh, scusami...)
Vedi Gesù, le cose non sono quasi mai come appaiono ai nostri occhi,
voglio dire, tu ti sei trascinato per il deserto e hai avuto modo di
rendertene conto, esistono fenomeni che facciamo fatica a spiegarci
(ad esempio Silvia79, Dino Martello, le leggi italiane,la pizza rustica,
anche se riconosco che il giochino dell'acqua e del vino mi è sempre piaciuto molto...)
Ora, io non cammino sull'acqua e tendo a far sì che chi è morto resti tale,
anche solo per non dover aggiornare di continuo la mia rubrica telefonica.
Faccio anch'io dei miracoli, ma solo per arrivare a fine mese.
Ho amato tutte le mie donne, ma molte di loro ho finito col tradirle.
Non ho saputo farne a meno.
Frequento un forum, adesso.
Parliamo di Maddalene e congiungimenti carnali,
di miscele seminali e pratiche onanistiche,
della geografia morale di Sodoma e Gomorra in una Babele d'accenti.
Ma anche di tante altre cose che non sto a dirti, perché sei un nuovo utente
e quindi devi darti un po' da fare per conoscere l'ambiente e muoverti da solo.
Sto cercando di arrivare al punto, dammi solo un secondo...
Io penso di conoscerti meglio di chiunque altro, qui dentro.
Io so cos'hai fatto, tra i 12 e i 30 anni.
Io so che con la storia del fascino c'hai anche un po' marciato.
Io so che il cieco non era veramente cieco, ma solo molto miope.
Io so che le parabole non sono tutte farina del tuo sacco.
Io so che il Paradiso è soprattutto un modo di dire.
Io so di essermi comportato male, con te.
E per questo ti chiedo scusa.
Amici come prima?
Tuo
Giuda.
SAMIZDAT n°6 (ovvero The Negro Boy)
L'invito è arrivato qui in ufficio una settimana fa, per telefono,
mentre HB ed io cercavamo di far quadrare i conti
usando qualche virgola, un po' d'inchiostro e tanta immaginazione.
Una voce di donna attraverso il capolavoro di Meucci.
Ho inserito il viva voce.
Ho inserito un caricatore nella mia pistola.
La donna parlava a nome anche del marito, una coppia che conosco bene, sposata da qualche
anno. Lei è un'ottima cuoca ed è in possesso di un paio di gambe da perderci la ragione.
Lui è un buon conversatore, amante della musica blues e di Dalì (che insieme non c'entrano
un cazzo, ma ognuno se le sceglie da sè le proprie passioni, dopotutto)
La donna mi dice ch'è un bel pezzo che non mi faccio vivo, ecco il motivo della
telefonata e dell'invito a cena.
HB si è stretto nelle spalle, accendendosi una sigaretta e chiudendo sotto una riga nera
i conti di Novembre.
"Vogliamo anche mostrarti il nostro ultimo acquisto" ha detto la donna.
Pensavo un nuovo televisore, un divano o un vibratore a doppia testa.
"No, no," ha detto ridendo, "Niente del genere. Abbiamo adottato un ragazzino".
Mi ha spiegato che di figli naturali non ne possono avere, perché lui non ha abbastanza spermatozoii
o se li ha sono troppo freddi o nel posto sbagliato, una cosa del genere. Il ragazzino ha già
otto anni,ma con quelli grandicelli è più facile - mi ha spiegato - perché quando sono un po'
cresciuti non se li piglia nessuno. Loro invece sono molto felici. E ha ritemuto di dovermi
avvisare di un particolare.
"E' di colore".
"Di quale colore?" ho domandato.
"Nero. Tendente al viola, se la luce cade in un certo modo".
Li conosco, quei due. Finti impegnati e intellettuali di ritorno. Facile che l'abbiano scelto
perché faceva pendant con la tappezzeria. Ma devo ammettere che con me sono sempre molto
gentili...
Ho riagganciato.
"Amici tuoi?" ha domandato HB.
"Una versione riveduta e corretta".
"Ti serve una copertura?"
"Speriamo di no".
° ° °
Così siamo a tavola. Cibi buoni e vino come piovesse.
Lei indossa scampoli di stoffa nei punti strategici, come se il suo florido corpo se ne stesse
in agguato dietro un sipario in attesa che lo spettacolo raggiunga il climax. Lui non sa di
niente come al solito, ma è un buon cristiano, sempre pronto a darti una mano (perché tu
gliela possa baciare...)
Per tutta la cena non si parla d'altro che di arte e bambini, due degli argomenti che detesto
di più, ma in fin dei conti sono solo un ospite.
"Ruben è un ragazzino molto intelligente" fa lui, "Ne ha viste di tutti i colori, prima di
arrivare qui".
"Anch'io" gli dico, "Non hai idea del traffico che c'è là fuori stasera".
Lei ride. Lei va matta per il mio cinismo. Forse è per questo - penso - che non perde occasione
per mostrarmi le gambe.
"E non sai la fortuna," insiste lui, "nell'averlo preso di colore..."
Prima che io possa chiedere spiegazioni, lei si è alzata venendomi accanto, premendo forte
una gamba contro il mio fianco, come uno splendido fucile a tracolla che deve aver fatto fuori
già un bel po' di uomini, prima di questo. "Ho sentito del locale che hai aperto coi tuoi
soci" mi dice, "E delle feste e le serate che organizzate...Non è che hai un invito anche per
noi?"
"Adesso il ragazzino dov'è?" chiedo, tirando fuori da una tasca 2 inviti firmati da HB.
"E' fuori in giardino" mi risponde l'uomo a cui un giorno quelle gambe risulteranno in un modo
o nell'altro fatali.
E' mezzanotte passata. "A quest'ora?!"
"Beh,sai...Sta montando la guardia"
Forse ho capito male. Ma lui sorride e dice: "Gioca al soldato che presidia il Forte. Sta su
tutta la notte e se vede o sente qualcosa di strano o di sospetto, ci avvisa subito. Giuro che
come sistema d'allarme è il massimo..."
Mi spiega che la mattina va a scuola, quando torna fa i suoi compiti e poi dritto a dormire,
per montare la guardia appena scende il buio.
"Puoi vederlo coi tuoi occhi, se non mi credi".
° ° °
E là fuori, nell'immensa distesa verde che chiamano giardino, m'indica una macchia scura
rannicchiata alla base di un grande albero.
"Abbiamo paura che aggirandosi al buio possa farsi male" mi dice l'uomo, "Così preferiamo
prendere le nostre precauzioni. In questo modo, lui è più sicuro e noi più tranquilli, no?"
Infatti, c'è un anello attaccato al tronco dell'albero e attaccato all'anello comincia una
catena che si chiude intorno ad una delle caviglie del ragazzo.
"Per lui è tutto un gioco," dice il padre, "E in più sai cos'abbiamo scoperto?"
"Che se vi beccano finite dentro minimo quindici anni?"
"No, che la catena è utile anche per un'altra ragione. Prima, quand'era senza, si limitava a
gridare. Con quella, invece, canta. E canta il blues, capisci? Non so come sia possibile ma
ti assicuro ch'è come dico! E pensaci: nessun malintenzionato se l'aspetterebbe. L'effetto
sorpresa è assicurato!"
Mi sembra uno scherzo, nemmeno troppo divertente, ma lui mi dà di gomito dicendo:"Su, fa'
qualcosa...Fa' un po' di rumore...Fa' qualcosa, dài..."
Potrei picchiare questo pezzo di merda,penso. Ma se lo faccio, addio gambe della gentile
consorte. Così mi limito a trafficare col fogliame di una siepe, raschio un po' con la gola,
mi accendo una sigaretta e soffio forte il fumo contro il buio della notte,e dopo alcuni secondi
il ragazzo seduto contro il tronco dell'albero attacca a cantare a squarciagola.
"Questa è This is my Apartment, di Sonny Boy Williamson" dice suo padre, "Forte,eh?"
E il ragazzo continua a cantare anche mentre la sigaretta mi sfugge di mano, come un peso
eccessivo da sostenere...
Quando rientriamo,la moglie sta versando della grappa in piccoli, deliziosi bicchieri di
vetro azzurro. "Visto che roba?" dice.
"Ho visto, ho visto," rispondo, lumandole le cosce di porcellana purissima, "Da non credere".
"Lo dirai a qualcuno?"
"Perché?" dico, tentando di sbirciarle su per la gonna,"Forse dovrei? E poi...chi mi
crederebbe?"
Lei sorride, sollevando un bicchierino per il brindisi. "Grazie" mi dice.
"E per cosa?"
"Beh, per gli inviti. Per cosa se no?"
° ° °
Stasera, entrando nel locale, Dietmar mi ha consegnato una busta.
Una busta postale, di quelle imbottite.
Ora è qui, sul tavolo dell'ufficio, ancora sigillata.
HB sta sorseggiando dello scotch, sorridendo con un angolo della bocca.
"Non mi hai ancora detto com'è andata quella cena" dice.
"Diciamo che non accetterò più un invito senza essere armato"
"E questa?" chiede alludendo alla busta.
"Aprila pure"
HB la apre.
Contiene un cd e un biglietto scritto a mano.
"Devo leggertelo?"
"Lascia perdere. Quella che roba è?"
HB si avvicina al nostro stereo, infila il cd e la musica parte.
Indovinate?
Bravo è bravo. Ma continuo a preferire il jazz.
mentre HB ed io cercavamo di far quadrare i conti
usando qualche virgola, un po' d'inchiostro e tanta immaginazione.
Una voce di donna attraverso il capolavoro di Meucci.
Ho inserito il viva voce.
Ho inserito un caricatore nella mia pistola.
La donna parlava a nome anche del marito, una coppia che conosco bene, sposata da qualche
anno. Lei è un'ottima cuoca ed è in possesso di un paio di gambe da perderci la ragione.
Lui è un buon conversatore, amante della musica blues e di Dalì (che insieme non c'entrano
un cazzo, ma ognuno se le sceglie da sè le proprie passioni, dopotutto)
La donna mi dice ch'è un bel pezzo che non mi faccio vivo, ecco il motivo della
telefonata e dell'invito a cena.
HB si è stretto nelle spalle, accendendosi una sigaretta e chiudendo sotto una riga nera
i conti di Novembre.
"Vogliamo anche mostrarti il nostro ultimo acquisto" ha detto la donna.
Pensavo un nuovo televisore, un divano o un vibratore a doppia testa.
"No, no," ha detto ridendo, "Niente del genere. Abbiamo adottato un ragazzino".
Mi ha spiegato che di figli naturali non ne possono avere, perché lui non ha abbastanza spermatozoii
o se li ha sono troppo freddi o nel posto sbagliato, una cosa del genere. Il ragazzino ha già
otto anni,ma con quelli grandicelli è più facile - mi ha spiegato - perché quando sono un po'
cresciuti non se li piglia nessuno. Loro invece sono molto felici. E ha ritemuto di dovermi
avvisare di un particolare.
"E' di colore".
"Di quale colore?" ho domandato.
"Nero. Tendente al viola, se la luce cade in un certo modo".
Li conosco, quei due. Finti impegnati e intellettuali di ritorno. Facile che l'abbiano scelto
perché faceva pendant con la tappezzeria. Ma devo ammettere che con me sono sempre molto
gentili...
Ho riagganciato.
"Amici tuoi?" ha domandato HB.
"Una versione riveduta e corretta".
"Ti serve una copertura?"
"Speriamo di no".
° ° °
Così siamo a tavola. Cibi buoni e vino come piovesse.
Lei indossa scampoli di stoffa nei punti strategici, come se il suo florido corpo se ne stesse
in agguato dietro un sipario in attesa che lo spettacolo raggiunga il climax. Lui non sa di
niente come al solito, ma è un buon cristiano, sempre pronto a darti una mano (perché tu
gliela possa baciare...)
Per tutta la cena non si parla d'altro che di arte e bambini, due degli argomenti che detesto
di più, ma in fin dei conti sono solo un ospite.
"Ruben è un ragazzino molto intelligente" fa lui, "Ne ha viste di tutti i colori, prima di
arrivare qui".
"Anch'io" gli dico, "Non hai idea del traffico che c'è là fuori stasera".
Lei ride. Lei va matta per il mio cinismo. Forse è per questo - penso - che non perde occasione
per mostrarmi le gambe.
"E non sai la fortuna," insiste lui, "nell'averlo preso di colore..."
Prima che io possa chiedere spiegazioni, lei si è alzata venendomi accanto, premendo forte
una gamba contro il mio fianco, come uno splendido fucile a tracolla che deve aver fatto fuori
già un bel po' di uomini, prima di questo. "Ho sentito del locale che hai aperto coi tuoi
soci" mi dice, "E delle feste e le serate che organizzate...Non è che hai un invito anche per
noi?"
"Adesso il ragazzino dov'è?" chiedo, tirando fuori da una tasca 2 inviti firmati da HB.
"E' fuori in giardino" mi risponde l'uomo a cui un giorno quelle gambe risulteranno in un modo
o nell'altro fatali.
E' mezzanotte passata. "A quest'ora?!"
"Beh,sai...Sta montando la guardia"
Forse ho capito male. Ma lui sorride e dice: "Gioca al soldato che presidia il Forte. Sta su
tutta la notte e se vede o sente qualcosa di strano o di sospetto, ci avvisa subito. Giuro che
come sistema d'allarme è il massimo..."
Mi spiega che la mattina va a scuola, quando torna fa i suoi compiti e poi dritto a dormire,
per montare la guardia appena scende il buio.
"Puoi vederlo coi tuoi occhi, se non mi credi".
° ° °
E là fuori, nell'immensa distesa verde che chiamano giardino, m'indica una macchia scura
rannicchiata alla base di un grande albero.
"Abbiamo paura che aggirandosi al buio possa farsi male" mi dice l'uomo, "Così preferiamo
prendere le nostre precauzioni. In questo modo, lui è più sicuro e noi più tranquilli, no?"
Infatti, c'è un anello attaccato al tronco dell'albero e attaccato all'anello comincia una
catena che si chiude intorno ad una delle caviglie del ragazzo.
"Per lui è tutto un gioco," dice il padre, "E in più sai cos'abbiamo scoperto?"
"Che se vi beccano finite dentro minimo quindici anni?"
"No, che la catena è utile anche per un'altra ragione. Prima, quand'era senza, si limitava a
gridare. Con quella, invece, canta. E canta il blues, capisci? Non so come sia possibile ma
ti assicuro ch'è come dico! E pensaci: nessun malintenzionato se l'aspetterebbe. L'effetto
sorpresa è assicurato!"
Mi sembra uno scherzo, nemmeno troppo divertente, ma lui mi dà di gomito dicendo:"Su, fa'
qualcosa...Fa' un po' di rumore...Fa' qualcosa, dài..."
Potrei picchiare questo pezzo di merda,penso. Ma se lo faccio, addio gambe della gentile
consorte. Così mi limito a trafficare col fogliame di una siepe, raschio un po' con la gola,
mi accendo una sigaretta e soffio forte il fumo contro il buio della notte,e dopo alcuni secondi
il ragazzo seduto contro il tronco dell'albero attacca a cantare a squarciagola.
"Questa è This is my Apartment, di Sonny Boy Williamson" dice suo padre, "Forte,eh?"
E il ragazzo continua a cantare anche mentre la sigaretta mi sfugge di mano, come un peso
eccessivo da sostenere...
Quando rientriamo,la moglie sta versando della grappa in piccoli, deliziosi bicchieri di
vetro azzurro. "Visto che roba?" dice.
"Ho visto, ho visto," rispondo, lumandole le cosce di porcellana purissima, "Da non credere".
"Lo dirai a qualcuno?"
"Perché?" dico, tentando di sbirciarle su per la gonna,"Forse dovrei? E poi...chi mi
crederebbe?"
Lei sorride, sollevando un bicchierino per il brindisi. "Grazie" mi dice.
"E per cosa?"
"Beh, per gli inviti. Per cosa se no?"
° ° °
Stasera, entrando nel locale, Dietmar mi ha consegnato una busta.
Una busta postale, di quelle imbottite.
Ora è qui, sul tavolo dell'ufficio, ancora sigillata.
HB sta sorseggiando dello scotch, sorridendo con un angolo della bocca.
"Non mi hai ancora detto com'è andata quella cena" dice.
"Diciamo che non accetterò più un invito senza essere armato"
"E questa?" chiede alludendo alla busta.
"Aprila pure"
HB la apre.
Contiene un cd e un biglietto scritto a mano.
"Devo leggertelo?"
"Lascia perdere. Quella che roba è?"
HB si avvicina al nostro stereo, infila il cd e la musica parte.
Indovinate?
Bravo è bravo. Ma continuo a preferire il jazz.
Il matrimonio della carne
Il mio macellaio si chiama Alois ed è fidanzato da circa 2 anni.
Il mio macellaio, pur essendo fidanzato, ragiona come un single.
Il mio macellaio - dice lui - si dimentica regolarmente gli anniversarii
e quando parla lo fa sempre al singolare.
Il mio macellaio sostiene che quando si trova a casa della sua ragazza,
terminato l'amplesso sente l'irrefrenabile impulso di scappare nel proprio
appartamento. "E' una specie di richiamo, capisci" mi spiega, "E' come
una voce interiore...Probabilmente la stessa che ha fin qui permesso
al genere umano di conservarsi attraversando i secoli come fossero
una strada piena zeppa d'indicazioni..."
"E dormire insieme?" gli domando.
"Beh," dice lui, "Se sono molto stanco è ok. A volte la stanchezza ti prende
a tradimento. Però è un dato di fatto che se vuoi dormire davvero bene
devi farlo da solo".
Il mio macellaio vende la miglior carne della città.
Solo 2 o 3 prostitute potrebbero affermare la stessa cosa.
Il mio macellaio cerca di far convivere la sua vita sentimentale
con le amicizie che ha coltivato negli anni.
Cerca di dedicare a ciascuno il giusto tempo.
Si sforza di non trascurare nessuno.
A volte - dice lui - la fidanzata sembra quasi rinfacciargli il fatto
di avere degli amici. E gli amici di essersi eclissato per colpa di una donna.
Il mio macellaio la chiama "Sindrome della Palla Avvelenata".
Il mio macellaio afferma spesso che per la maggior parte delle donne
è praticamente impossibile concepire che un uomo possa avere degli interessi
che non ruotino intorno ad esse. Soprattutto se quell'uomo è il loro.
"Non è nemmeno questione di gusti" dice, "Nè di hobby. E' proprio questione di
'votarsi alla causa'"
"Non starai esagerando?" provo a dire.
"Per niente" risponde, "E ricordati che ho un coltello, in mano"
Il mio macellaio parla un ottimo italiano
e c'è sempre la fila per il suo rognone.
"Una volta la mia donna s'è messa a parlarmi di convivenza" mi ha detto l'altro giorno.
"E tu come hai reagito?"
"Eravamo sul suo balcone. Non avevo coltelli, con me. Così l'ho ascoltata"
"E com'è andata?"
"Mi ha detto: 'Potremmo andare a vivere insieme, così tu affitti il tuo appartamento
e la nostra storia diventa finalmente una cosa seria"
"Tu cos'hai risposto?"
"Che già adesso nel nostro rapporto non è che le battute fiocchino"
Il mio macellaio è una brava persona
e se avete in mente di fare una grigliata può rifornirvi di carne così buona
che vi sembrerà di compiere un sacrificio a un qualche Dio precolombiano.
"Mi sa che prima o poi ti chiederà di sposarla" gli ho detto.
Il mio macellaio Alois non ha risposto.
So come la pensa: amore e natura non sono cose destinate per forza ad incontrarsi.
Il mio macellaio dice "Da' un'occhiata ai necrologi: quando una donna muore, è quasi sempre
la vedova di qualcuno. Ti tolgo il grasso, dalla bistecca?"
Il mio macellaio, pur essendo fidanzato, ragiona come un single.
Il mio macellaio - dice lui - si dimentica regolarmente gli anniversarii
e quando parla lo fa sempre al singolare.
Il mio macellaio sostiene che quando si trova a casa della sua ragazza,
terminato l'amplesso sente l'irrefrenabile impulso di scappare nel proprio
appartamento. "E' una specie di richiamo, capisci" mi spiega, "E' come
una voce interiore...Probabilmente la stessa che ha fin qui permesso
al genere umano di conservarsi attraversando i secoli come fossero
una strada piena zeppa d'indicazioni..."
"E dormire insieme?" gli domando.
"Beh," dice lui, "Se sono molto stanco è ok. A volte la stanchezza ti prende
a tradimento. Però è un dato di fatto che se vuoi dormire davvero bene
devi farlo da solo".
Il mio macellaio vende la miglior carne della città.
Solo 2 o 3 prostitute potrebbero affermare la stessa cosa.
Il mio macellaio cerca di far convivere la sua vita sentimentale
con le amicizie che ha coltivato negli anni.
Cerca di dedicare a ciascuno il giusto tempo.
Si sforza di non trascurare nessuno.
A volte - dice lui - la fidanzata sembra quasi rinfacciargli il fatto
di avere degli amici. E gli amici di essersi eclissato per colpa di una donna.
Il mio macellaio la chiama "Sindrome della Palla Avvelenata".
Il mio macellaio afferma spesso che per la maggior parte delle donne
è praticamente impossibile concepire che un uomo possa avere degli interessi
che non ruotino intorno ad esse. Soprattutto se quell'uomo è il loro.
"Non è nemmeno questione di gusti" dice, "Nè di hobby. E' proprio questione di
'votarsi alla causa'"
"Non starai esagerando?" provo a dire.
"Per niente" risponde, "E ricordati che ho un coltello, in mano"
Il mio macellaio parla un ottimo italiano
e c'è sempre la fila per il suo rognone.
"Una volta la mia donna s'è messa a parlarmi di convivenza" mi ha detto l'altro giorno.
"E tu come hai reagito?"
"Eravamo sul suo balcone. Non avevo coltelli, con me. Così l'ho ascoltata"
"E com'è andata?"
"Mi ha detto: 'Potremmo andare a vivere insieme, così tu affitti il tuo appartamento
e la nostra storia diventa finalmente una cosa seria"
"Tu cos'hai risposto?"
"Che già adesso nel nostro rapporto non è che le battute fiocchino"
Il mio macellaio è una brava persona
e se avete in mente di fare una grigliata può rifornirvi di carne così buona
che vi sembrerà di compiere un sacrificio a un qualche Dio precolombiano.
"Mi sa che prima o poi ti chiederà di sposarla" gli ho detto.
Il mio macellaio Alois non ha risposto.
So come la pensa: amore e natura non sono cose destinate per forza ad incontrarsi.
Il mio macellaio dice "Da' un'occhiata ai necrologi: quando una donna muore, è quasi sempre
la vedova di qualcuno. Ti tolgo il grasso, dalla bistecca?"
SAMIZDAT n°5
Dopo una certa ora le senti bussare.
Si siedono qui, in ufficio, fumando una sigaretta,
cercando di sorridere, profumate di shampoo e di doccia
ma quasi mai
felici.
E' quasi sempre una questione
d'amore. Non c'è nemmeno bisogno
che glielo domandi.
Stasera è lo stessa storia.
Lo stesso splendido cavallo imbizzarrito
mentre l'odio non fa che crescere
e gonfiarsi come schiuma in una vasca da bagno.
Mi ricorda un tale, molti anni fa.
La sua donna l'aveva piantato.
Lui prese la foto, quella dove le sue braccia stringevano
come serpi il corpo di lei, su uno sfondo bucolico dove
entrambi ridevano
e col semplice movimento del pollice
si bruciò le braccia e il torace e la testa e...
"Non esistono più prove" mi disse, "Ora è davvero
tutto finito".
"Fa' attenzione" dissi io, "Stai ancora
bruciando".
All'ospedale lo vestirono di bende come un antico faraone
nutrito da una macchina di plastica e gomma.
"E' una storia molto triste" dice, accavallando le gambe
molto in alto, fin quasi alle mutandine.
"E' la guerra, tesoro"
"La guerra non mi piace" dice lei, con una voce che pare
squittire, "Preferisco l'amore".
Mi piacerebbe dirle la verità.
Mi piacerebbe dirle che l'amore è più crudele di qualunque guerra
perché le sue vittime preferisce
lasciarle in vita.
"Versati un goccio di bourbon, tesoro"
le dico, "Parlami un po' dei tuoi genitori...Vuoi?"
Si siedono qui, in ufficio, fumando una sigaretta,
cercando di sorridere, profumate di shampoo e di doccia
ma quasi mai
felici.
E' quasi sempre una questione
d'amore. Non c'è nemmeno bisogno
che glielo domandi.
Stasera è lo stessa storia.
Lo stesso splendido cavallo imbizzarrito
mentre l'odio non fa che crescere
e gonfiarsi come schiuma in una vasca da bagno.
Mi ricorda un tale, molti anni fa.
La sua donna l'aveva piantato.
Lui prese la foto, quella dove le sue braccia stringevano
come serpi il corpo di lei, su uno sfondo bucolico dove
entrambi ridevano
e col semplice movimento del pollice
si bruciò le braccia e il torace e la testa e...
"Non esistono più prove" mi disse, "Ora è davvero
tutto finito".
"Fa' attenzione" dissi io, "Stai ancora
bruciando".
All'ospedale lo vestirono di bende come un antico faraone
nutrito da una macchina di plastica e gomma.
"E' una storia molto triste" dice, accavallando le gambe
molto in alto, fin quasi alle mutandine.
"E' la guerra, tesoro"
"La guerra non mi piace" dice lei, con una voce che pare
squittire, "Preferisco l'amore".
Mi piacerebbe dirle la verità.
Mi piacerebbe dirle che l'amore è più crudele di qualunque guerra
perché le sue vittime preferisce
lasciarle in vita.
"Versati un goccio di bourbon, tesoro"
le dico, "Parlami un po' dei tuoi genitori...Vuoi?"
SAMIZDAT n°4
Mi piace pensare che i grossi seni della nostra guardarobiera
non c'entrino.
Immagino che l'alcol giochi il suo ruolo,
ma solo fino ad un certo punto.
Tavoli, poltrone, divani e tappeti, certamente.
Mettici la musica.
Sicuramente le nostre ballerine
e i volti appesi alle pareti dentro cornici di fumo,
che a volte sembrano quasi scrutarti dentro.
"Non ho mai lavorato, in un posto come questo"
dice.
Il mio bicchiere custodisce 2/3 di vodka
e 1/3 di succo d'arancia.
Ho bisogno di vitamine.
Ho bisogno di mangiare meglio.
Ho bisogno di lasciare
il mio numero di telefono in elenco
almeno un altro po'.
"Mi credi se ti dico che non avrei scommesso
un soldo sul successo di questo posto?"
dice.
Le ombre lungo le pareti sono vernice rappresa,
l'ufficio somiglia ad un sommergibile
incastrato sul fondo di un
oceano di disperazione.
"Tu e i tuoi soci avete fatto davvero
un bel lavoro. C'è sempre gente qui dentro,
in un modo o nell'altro"
dice
rivestendosi.
"Non dimenticarti il reggiseno"
le dico, "E di chiudere la porta,
quando te ne sarai andata".
Me ne resto sdraiato sul divano,
il bicchiere in equilibrio su sottili pensieri di corda,
la sigaretta fumante,
mentre la osservo avvicinarsi allo specchio
e perdercisi dentro.
"Che diavolo stai facendo?" domando.
"Mi sto truccando".
"Truccando da cosa?"
non c'entrino.
Immagino che l'alcol giochi il suo ruolo,
ma solo fino ad un certo punto.
Tavoli, poltrone, divani e tappeti, certamente.
Mettici la musica.
Sicuramente le nostre ballerine
e i volti appesi alle pareti dentro cornici di fumo,
che a volte sembrano quasi scrutarti dentro.
"Non ho mai lavorato, in un posto come questo"
dice.
Il mio bicchiere custodisce 2/3 di vodka
e 1/3 di succo d'arancia.
Ho bisogno di vitamine.
Ho bisogno di mangiare meglio.
Ho bisogno di lasciare
il mio numero di telefono in elenco
almeno un altro po'.
"Mi credi se ti dico che non avrei scommesso
un soldo sul successo di questo posto?"
dice.
Le ombre lungo le pareti sono vernice rappresa,
l'ufficio somiglia ad un sommergibile
incastrato sul fondo di un
oceano di disperazione.
"Tu e i tuoi soci avete fatto davvero
un bel lavoro. C'è sempre gente qui dentro,
in un modo o nell'altro"
dice
rivestendosi.
"Non dimenticarti il reggiseno"
le dico, "E di chiudere la porta,
quando te ne sarai andata".
Me ne resto sdraiato sul divano,
il bicchiere in equilibrio su sottili pensieri di corda,
la sigaretta fumante,
mentre la osservo avvicinarsi allo specchio
e perdercisi dentro.
"Che diavolo stai facendo?" domando.
"Mi sto truccando".
"Truccando da cosa?"
SAMIZDAT n°3 (ovvero L'anima buia di un suonatore di kazoo)
Come seconda cosa mi domanda
di Lilith.
"Credevo d'aver capito che fossi qui per un lavoro"
"Sì, signore" mi risponde, "So che è Lei ad occuparsi dei provini".
"Tu cosa sai fare?"
La mezzanotte si avvicina, anche qui in ufficio.
Sento la musica di là nel locale
saltellare su e giù come se gli scappasse da pisciare.
Una musica buona per riempire gli spazi
e le frasi lasciate in sospeso...
"Da dove salti fuori?" domando
"Beh, ho bazzicato qualche forum, in giro qua e là. Ma non erano
lo stesso che qui"
"Ti credo sulla parola"
Mi accendo una sigaretta.
Ne offro una all'uomo che mi siede difronte.
L'osservo mentre se l'accende,
indeciso se avvicinare la fiamma alla sigaretta
o viceversa.
"Non eri costretto ad accettarla" gli dico, "Qui dentro
non costringiamo nessuno a fare qualcosa che non voglia fare.
Nemmeno ad entrare"
Mi verso un goccio di bourbon.
Ne verso due dita in un bicchiere opaco
che allungo verso il mio ospite.
L'osservo mentre l'afferra con la mano libera,
come se stesse per stringere
il cuore di sua madre.
"Non mi hai ancora detto cosa sai fare" gli dico.
"Sono un musicista" risponde, cercando di trattenere
un colpo di tosse.
"E' una bella cosa. Brindiamoci su"
Vuoto il mio bicchiere.
L'uomo vuota il suo.
E pochi istanti dopo,
lo sento vomitare nel bagno padronale.
"TUTTO BENE, LA' DENTRO?" domando alzando la voce,
"SBRIGATI, ABBIAMO QUASI FINITO".
Apro un cassetto della scrivania.
Tiro fuori la mia rivoltella e l'appoggio
sul tavolo accanto al posacenere.
Hanno ragione, i miei soci:
il pozzo dei desideri è pieno d'acqua
ma tutt'intorno la gente
non fa che accorrere e accalcarsi
con la scusa della sete.
di Lilith.
"Credevo d'aver capito che fossi qui per un lavoro"
"Sì, signore" mi risponde, "So che è Lei ad occuparsi dei provini".
"Tu cosa sai fare?"
La mezzanotte si avvicina, anche qui in ufficio.
Sento la musica di là nel locale
saltellare su e giù come se gli scappasse da pisciare.
Una musica buona per riempire gli spazi
e le frasi lasciate in sospeso...
"Da dove salti fuori?" domando
"Beh, ho bazzicato qualche forum, in giro qua e là. Ma non erano
lo stesso che qui"
"Ti credo sulla parola"
Mi accendo una sigaretta.
Ne offro una all'uomo che mi siede difronte.
L'osservo mentre se l'accende,
indeciso se avvicinare la fiamma alla sigaretta
o viceversa.
"Non eri costretto ad accettarla" gli dico, "Qui dentro
non costringiamo nessuno a fare qualcosa che non voglia fare.
Nemmeno ad entrare"
Mi verso un goccio di bourbon.
Ne verso due dita in un bicchiere opaco
che allungo verso il mio ospite.
L'osservo mentre l'afferra con la mano libera,
come se stesse per stringere
il cuore di sua madre.
"Non mi hai ancora detto cosa sai fare" gli dico.
"Sono un musicista" risponde, cercando di trattenere
un colpo di tosse.
"E' una bella cosa. Brindiamoci su"
Vuoto il mio bicchiere.
L'uomo vuota il suo.
E pochi istanti dopo,
lo sento vomitare nel bagno padronale.
"TUTTO BENE, LA' DENTRO?" domando alzando la voce,
"SBRIGATI, ABBIAMO QUASI FINITO".
Apro un cassetto della scrivania.
Tiro fuori la mia rivoltella e l'appoggio
sul tavolo accanto al posacenere.
Hanno ragione, i miei soci:
il pozzo dei desideri è pieno d'acqua
ma tutt'intorno la gente
non fa che accorrere e accalcarsi
con la scusa della sete.
SAMIZDAT n° 2
Il nostro barman è tedesco.
Si chiama Dietmar.
Il nostro barman è un uomo grasso e stempiato
e di una cortesia che non è di questo tempo.
Un giorno, semplicemente si presentò qui dentro
a chiedere un lavoro.
Eravamo nell'ufficio principale,
Canella, HB ed io.
Dietmar cominciò a parlare in quella sua lingua
così simile al suono di un trapano da dentista.
HB aveva un nodo in gola
e non era quello della cravatta.
Mi avvicinai alla finestra,
guardai fuori, smisi di ascoltare.
Canella lasciò che quell'uomo grasso
finisse di parlare,e quando ebbe finito
si accese una sigaretta chiedendogli di aspettare fuori.
Dietmar uscì.
L'ufficio si era fatto silenzioso,
denso di fumo, quasi soffocante,
più caldo delle cosce di una puttana messicana
strafatta di tequila in un pomeriggio d'Agosto.
"Mettiamola così," disse Canella,
"Perlomeno non sputa nei bicchieri,quando li pulisce".
Non passa giorno che Dietmar non ci ringrazi
per questo cazzo di lavoro che gli abbiamo dato.
Ma forse ci ringrazia per qualcos'altro.
Va' tu a capire di cosa si tratta...
Stasera sono seduto al bancone a bere birra tedesca in bottiglia.
Dietmar agita il suo straccio come fosse una bandiera,
sorride ai clienti e infila le mance in una boccia di vetro
sul ripiano alle sue spalle.
Dice che così, se le cose dovessero andar male
e il locale chiudere, magari avremmo da parte
abbastanza per ricominciare altrove.
La verità è semplice:
possiamo conservare
solo ciò che sopravvive.
"Per questo non regalo mai
animali a nessuno" gli dico,
"Pensaci, la prossima volta che
accontenterai una donna nascondendoti
dietro un mazzo di fiori".
Dietmar sorride."Un'altra birra, signor Mongo?"
"Natürlich, herr Didi".
SAMIZDAT
Il tavolo è quello riservato, in fondo alla sala.
E' un tavolo di legno percorso da striature come un volto pieno di cicatrici.
Sorseggio un bourbon da un Graal di vetro,fumo le mie sigarette una dopo l'altra,
con la stessa disinvoltura con cui un soldato ricarica il proprio fucile mentre aspetta
il prossimo assalto.
Sto aggiornando i libri contabili del locale.
Sto scrivendo alcune note che ai soci - e non solo a loro - potrebbero servire.
L'inchiostro veicola i pensieri trasformandoli in strani,squamosi tatuaggi.
E' trascorso un mese e mezzo, dall'apertura del salotto.
Sono arrivati gli amici, si sono seduti con noi,
hanno portato la loro musica,le loro parole,
tutto il loro passato, presente e futuro,
perché in realtà questo è un luogo senza tempo,
che parla il dialetto degli amanti.
Il fumo sale al soffitto come una preghiera,
i sorrisi sono ferite, le carezze rasoi,
le ballerine hanno terminato le loro prove,
ce n'è sempre una che si ferma a fumare chiedendomi
perché l'amore sia una cosa tanto ingiusta...
"E' semplice" le rispondo,
"L'amore, tesoro, non conosce democrazia"
Lo puoi leggere negli occhi di molti che entrano qui:
i Coscritti della Felicità Presunta
i Martiri dell'Amor Rubato
i Forzati della Speranza Promessa
Tutti coloro che entrano qui senza sapere
dove stiano entrando...
Devo ricordarmi di far lavare via
il sangue dal gabinetto degli uomini.
Devo ricordarmi di ordinare
altro cognac.
Devo ricordarmi di ringraziare
i miei soci, e tutti gli ospiti
più graditi.
Devo ricordarmi dove ho messo
la mia rivoltella.
Devo ricordarmi un po' la tolleranza
mentre gli uomini stringono
seni & pistole
per gli stessi
motivi...
E' un tavolo di legno percorso da striature come un volto pieno di cicatrici.
Sorseggio un bourbon da un Graal di vetro,fumo le mie sigarette una dopo l'altra,
con la stessa disinvoltura con cui un soldato ricarica il proprio fucile mentre aspetta
il prossimo assalto.
Sto aggiornando i libri contabili del locale.
Sto scrivendo alcune note che ai soci - e non solo a loro - potrebbero servire.
L'inchiostro veicola i pensieri trasformandoli in strani,squamosi tatuaggi.
E' trascorso un mese e mezzo, dall'apertura del salotto.
Sono arrivati gli amici, si sono seduti con noi,
hanno portato la loro musica,le loro parole,
tutto il loro passato, presente e futuro,
perché in realtà questo è un luogo senza tempo,
che parla il dialetto degli amanti.
Il fumo sale al soffitto come una preghiera,
i sorrisi sono ferite, le carezze rasoi,
le ballerine hanno terminato le loro prove,
ce n'è sempre una che si ferma a fumare chiedendomi
perché l'amore sia una cosa tanto ingiusta...
"E' semplice" le rispondo,
"L'amore, tesoro, non conosce democrazia"
Lo puoi leggere negli occhi di molti che entrano qui:
i Coscritti della Felicità Presunta
i Martiri dell'Amor Rubato
i Forzati della Speranza Promessa
Tutti coloro che entrano qui senza sapere
dove stiano entrando...
Devo ricordarmi di far lavare via
il sangue dal gabinetto degli uomini.
Devo ricordarmi di ordinare
altro cognac.
Devo ricordarmi di ringraziare
i miei soci, e tutti gli ospiti
più graditi.
Devo ricordarmi dove ho messo
la mia rivoltella.
Devo ricordarmi un po' la tolleranza
mentre gli uomini stringono
seni & pistole
per gli stessi
motivi...