domenica 20 luglio 2008

In Memory Of Docu

La sedia imbottita pare drappeggiata a lutto. 

Il velo damascato la ricopre per tre quarti, fin quasi a sfiorare il pavimento, simile ad un sipario che abbia resistito fino all'ultima recita e poi non ce l'abbia fatta più. Come dire: morto l'attore, morto il suo recital. 

C'è qualcosa, sotto quel velo. Qualcosa che ricorda un corpo umano o che potrebbe simularne le fattezze. Un corpo rigido e immobile e lontano dall'idea che abbiamo dell'esistenza terrena. Un ciuffo di capelli spunta dallo schienale della sedia. Sembra un grumo di polvere. Sembra parte dell'imbottitura, ma sappiamo che così non è. 

"Ho sempre avuto il dubbio che serviamo roba troppo forte, qui dentro" dice Danny con un sorriso, "La cosa a lungo andare ne può stendere parecchi...

Canella si sta lavando le mani. L'aria odora di tabacco e cordìte. 

Il gattiglio è corso su per le scale, tornando nel locale dove Dietmar sta lavando ciotole e bicchieri. Quando il gattiglio è uscito, HB ha richiuso la porta dello scantinato lasciando sfumare un'eco di jazz che ancora respira al piano superiore. 

Ora siamo immersi nel silenzio più assoluto. 

"Dovremo pensare a qualcosa per quel corpo..." dico, "Non che dia fastidio, per carità, ma se lo lasciamo lì dov'è ci toccherà procurarci un'altra sedia". 

HB ha acceso due sigarette, passandomi la più vicina. "Forse," dice guardando verso Canella, "Il nostro Doc potrebbe impagliarlo...Sistemato da qualche parte su di sopra potrebbe anche fare la sua figura...

"Vero" dico io, "Docu ha sempre avuto un gusto impeccabile, nel vestire

Danny si è sdraiato sul divano. Un sigaro tra le dita, un bicchiere di scotch sul tavolino a fianco. "Mi mancherà, quel figlio di buona donna. E' stato uno dei primi, quando abbiamo aperto 'sto posto. Uno degli originali. Cazzo, mi mancherà sul serio...Se lo impagliamo, propongo di piazzarlo accanto al palco, un po' defilato sulla sinistra, dalla parte del pianoforte...

Canella, nel frattempo, si è asciugato le mani e sta fumando appoggiato alla parete. I suoi occhi sono chiusi, il respiro regolare, la rivoltella di nuovo al suo posto, nella tasca interna della giacca. 

"Volendo lo potrei anche fare," ci dice, "Ma impagliare qualcuno - o qualcosa - significa conservare la morte in vita. Io preferisco non conservare niente, nemmeno quando si tratterà di voi e di me. Un buon ricordo sarà tutto ciò di cui avremo bisogno". 

Nessuno di noi fiata. 

Non sappiamo che fine abbia fatto Docu, ma il suo corpo è sempre là, su quella sedia coperta da un drappo. L'osserviamo, per un po'. E come immaginato, non succede niente. 

Può essere molto dura. Molto più di quanto si possa credere. 

Siamo morti. E a volte, stanchi di esserlo.

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